Disoccupazione mai così alta dal 1977 In un anno persi 448 mila posti

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È il peggiore degli ultimi 36 anni, dal 1977 quando vennero introdotte le serie storiche trimestrali. Così come è la peggiore percentuale, nello stesso arco di tempo, di disoccupazione giovanile che è arrivata all’incredibile cifra del 41,6%, quasi uno su due ragazzi tra i 15 e i 24 anni, al netto degli studenti, non ha un impiego e vive con le risorse della famiglia. Chi ancora non si è reso conto della situazione drammatica in cui versa l’economia dell’Italia il cui Pil (la somma della ricchezza lorda) dal 2007 è crollato di 9,1 punti, ora non ha più alibi.
Sempre secondo l’Istat i giovani inattivi sono complessivamente 4 milioni e 424 mila, aumentati di quasi il 2% nell’arco di un anno. Nello stesso periodo hanno perso l’impiego 448 mila persone; la crisi ha colpito soprattutto gli uomini (+17,2%) rispetto alle donne (+6,1%). Brutte news anche dall’Inps per quanto riguarda la cassa integrazione: in sei anni sono stati erogati 5,4 miliardi di ore anche se nell’ultimo anno (2013) si è verificato un leggero miglioramento dell’1,4% dovuto in gran parte alla ordinaria e a quella in deroga. È schizzata del 19%, invece, quella straordinaria. Quasi due milioni le domande di disoccupazione in 11 mesi, con una crescita del 32,5%.
A novembre sono risultati occupati 924 mila giovani tra i 15 e i 24 anni, in calo dell’1,3% rispetto al mese precedente (-12mila) e di 12,4% su base annua (-131mila). Il tasso di occupazione giovanile si è così ridotto al 15,4%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,1 punti su anno. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, sottolinea Istat, è la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi, occupati o disoccupati. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, ad esempio perché studiano. Il numero dei giovani inattivi, rileva l’Istat, è pari a 4 milioni e 424mila, in aumento dello 0,3% su ottobre (+11mila) e dell’1,9% su base annua (+81mila). Il tasso di inattività dei giovani tra i 15 e i 24 anni è al 73,7%, in aumento di 0,2 punti percentuali sull’ultimo mese e di 1,7 punti nei 12 mesi.
La politica ha reagito a modo suo. Angelino Alfano e Matteo Renzi si sono affidati a Twitter . Per il vicepremier, ministro degli Interni e leader del Nuovo centrodestra «dopo i dati Istat su disoccupazione, dobbiamo ancora parlare di matrimoni gay, legalizzare la cannabis e frontiere aperte a immigrati? No prima c’è il lavoro!». Il segretario del Pd e sindaco di Firenze rilancia annunciando la bozza del JobsAct. Il segretario generale Susanna Camusso nei giorni scorsi ha avuto modo di dire che da sole le regole non bastano, ci vuole ben altro. E ieri ha rincarato la dose stigmatizzando come ««le previsioni che abbiamo davanti, anche per gli effetti della ristrutturazione del sistema industriale e produttivo, sono di una prosecuzione di questa riduzione dell’occupazione, di un aumento dei licenziamenti e delle difficoltà». «Per questo diciamo che non c’è una svolta politica — aggiunge — se non si parte dal tema della creazione di lavoro e dell’investimento». I dati sono «il segno che l’onda lunga della crisi continua ancora a distruggere posti di lavoro più rapidamente di quelli che si creano», commenta il ministro del lavoro Enrico Giovannini. Un dato positivo, però, sottolinea ancora, c’è ed è quello relativo ai numeri di contratti attivati rispetto a quelli cessati nel terzo trimestre 2013 «che però non cambia la tendenza complessiva del dato».
Per l’ex ministro del Lavoro e ora presidente dei senatori Ncd Maurizio Sacconi «la maggioranza deve rivelarsi capace di produrre un massimo comune denominatore con riferimento tanto alla regolazione quanto alla riduzione del costo indiretto del lavoro». Sulle regole Sacconi insiste nel chiedere «significativi correttivi alla legge Fornero, con particolare riguardo all’apprendistato e alle tipologie contrattuali diverse dal contratto a tempo indeterminato». E sul taglio del cuneo fiscale, chiesto a gran voce da imprenditori e sindacati in un documento comune del settembre scorso, «si deve realizzare con prioritaria attenzione al salario di produttività».
Mentre la politica nei prossimi giorni cercherà la difficile quadra, oggi si riapre il confronto che si preannuncia molto in salita tra governo, sindacati e imprese sul fronte della riforma degli ammortizzatori sociali. Si discuterà anche del decreto interministeriale con cui l’esecutivo intende riscrivere le regole sulla Cig in deroga che Cgil, Cisl e Uil avevano già contestato accusando il provvedimento di realizzare «un marcato arretramento della capacità di mantenere il sistema della protezione sociale». Governo e sindacati la pensano diversamente e l’incontro di oggi rischia di aumentare le tensioni. Cgil,Cisl e Uil in sostanza difendono l’attuale meccanismo di Cassa integrazione — finanziato in gran parte con le risorse di imprese e lavoratori — e criticano quella in deroga che costa molto (alla collettività) e serve a poco. «Mi pare rischioso avventurarsi in una discussione su una riforma degli ammortizzatori sociali nel mezzo di una crisi che continua a essere pesante», commenta il segretario confederale Cisl Luigi Sbarra .
Roberto Bagnoli


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