Le due «piccole intese» che mettono a rischio la tenuta del governo

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Il segretario del Pd, Matteo Renzi, intende invece usare questo arco di tempo per strappare un accordo sulla riforma elettorale: possibilmente allargato a Silvio Berlusconi. Ma nessuno crede a una strategia concordata, seppure condotta su piani diversi. Il nervosismo tra Palazzo Chigi e il Partito democratico non accenna a diminuire.
Più che un gioco delle parti, si indovina un conflitto sordo. Per Letta l’obiettivo principale è tenere, scansando le mine. La convinzione è che seguendo questa strada, presto arriveranno anche segnali meno negativi dal fronte economico, come lo spread sotto la soglia dei 200 punti. È la ragione per la quale l’ipotesi di un rimpasto per ora viene scartata. In una situazione normale, cambiare un paio di ministri rafforzerebbe il governo. Ma con le pressioni di Berlusconi per il voto anticipato, e la tentazione di alcuni settori del Pd di approvare la nuova legge elettorale e correre alle urne, la cautela è inevitabile.
Per questo le dimissioni del viceministro all’Economia, Stefano Fassina, offeso da una battuta di Renzi, sono state considerate un favore agli avversari. Naturalmente, Letta e il segretario del Pd evitano polemiche dirette. Ma mentre ieri il capo del governo, che è stato ricevuto dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, vedeva i gruppi parlamentari di Scelta civica, Renzi si è incontrato a Firenze con l’ex premier Mario Monti.
L’attrito si rivela soprattutto dalla tensione tra Pd e Nuovo centrodestra (Ncd). La scelta del sindaco di Firenze di tentare un compromesso con i berlusconiani sulla riforma elettorale è percepita da Angelino Alfano come una minaccia; e come la volontà di una saldatura col Cavaliere per votare a maggio e stritolare il Ncd. Viene evocato, insomma, lo schema delle due piccole «larghe intese»: quella composta da Letta e da Alfano, decisa a andare avanti fino al 2015; e quella di Renzi e Berlusconi, invece, convinta della bontà di una rottura a breve, ritenendo che l’attuale governo e una stabilità a loro avviso declinata al ribasso siano un ostacolo per il futuro dell’Italia.
Si delinea una guerra dei nervi che potrebbe sfociare in una crisi, se prevalesse la «sindrome Fassina»: se cioè i contrasti portassero a altre dimissioni. «Non credo», prevede Maria Elena Boschi, responsabile delle riforme del Pd, «che Ncd farà venire meno l’appoggio al governo». Entro un mese si dovrebbe capire meglio, perché si conosceranno le motivazioni con le quali la Corte costituzionale ha bocciato la vecchia legge. Non saranno quelle, tuttavia, a provocare o scongiurare le elezioni. Ma aumenta la possibilità che il Movimento 5 Stelle cresca additando uno scontro tra Palazzo Chigi e il segretario del Pd, poco comprensibile all’opinione pubblica. Beppe Grillo ha già cominciato a farlo.


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