L’uomo che iniziò la guerra d’America alle sigarette
WASHINGTON. Dalle Americhe venne e nelle Americhe si vuole fermarlo. Il tabacco, la pianta sacra delle cerimonie native, la foglia che nelle spire di fumo doveva portare le preghiere in cielo, è divenuto da mezzo secolo il “Nemico Pubblico Numero 1” che le autorità americane per prime cercarono di eliminare, senza davvero riuscirci.
Fu nel gennaio del 1964 che Luther Terry, il Surgeon general, la massima autorità sanitaria del governo, si rassegnò, dopo ben 7mila articoli e ricerche scientifiche probanti e 700 milioni di controcampagna finanziata dalla “Tobacco Lobby”, a dichiarare che le sigarette, i sigari, le tavolette da masticare erano causa probabile di gravissime malattie, «negli uomini e forse anche nelle donne», come scrisse lasciando aperta un’ipotesi soltanto per compiacere la allora gigantesca lobby del fumo. E favorendo il boom del consumo di sigarette fra le donne, vissuto come segno di indipendenza e di fraintesa liberazione femminista. Qualche anno dopo, per una volta battendo sul tempo le autorità governative preposte alla salute, nel 1969 il Congresso avrebbe proibito la pubblicità delle sigarette in televisione e in radio e imposto i primi avvertimenti salutisti sui pacchetti.
Furono dunque le conclusioni del “Medico Generale” a lanciare quella guerra alle sigarette che mezzo secolo più tardi è ancor ben lontana dall’essere vinta — 45 milioni di americani adulti oggi fumano, secondo il Centro per il Controllo delle Malattie — ma che ottenne un risultato che altre campagne, come quella contro le armi da fuoco personali, l’alcol, alcune droghe pesanti, non sono riuscite a raggiungere: quello di rendere il fumo un vizio “socialmente inaccettabile”. Come tutto ciò che diventa ripugnante per la gente, anche il fumo sarebbe poi diventato politicamente inammissibile: da allora è una gara fra sindaci, governatori, parlamentari per mostrare maggior zelo nel reprimerlo.
La nazione che più di ogni altra aveva fatto di quel tubicino di carta serrato fra le labbra ciniche di “Bogey” Humphrey Bogart, o fra le dita affusolate di una Greta Garbo un segnale di sofisticazione e di raffinatezza, tenta, da quel 1964, di rovesciare il paradigma e fare del fumatore non soltanto un kamikaze votato al suicidio, ma un monatto appestatore. Se ancora la sigaretta o il suo parente più tollerato, il sigaro, resiste nella produzione cinematografica e televisiva, lo fa tra le dita ingiallite dei “cattivi”. Un tabù che Hollywood riesce ad aggirare con film e serie tv d’epoca, come i magnifici telefilm “Mad Men”, dove sarebbe impossibile descrivere correttamente l’America degli anni ‘50 e ‘60 senza infilare una cicca accesa fra le dita dei protagonisti e senza avvolgerli in quelle nuvole di tossicità azzurrina che impregnavano ogni ufficio, ogni aereo, ogni cinema, ogni sala d’attesa d’ospedale. E persino le centrali di controllo della Nasa, dove tutti fumavano freneticamente.
Prima di essere stata una presa di coscienza dei danni incontestabili del tabacco, la“Guerra al Fumo” – progenitrice della fallita “Guerra alla Droga” – che dal 1964 cominciò negli Usa estendendosi poi all’Europa — ma non ancora alla Cina, oggi primo produttore al mondo di tabacco — fu una rivoluzione di costume. L’umorista Art Buchwald riassunse questo rovesciamento della morale collettiva in un’immagine eloquente: quella del teenager che negli anni ‘60 entrava in un drugstore e ordinava ad alta voce un pacchetto di sigarette, mormorando poi sottovoce la richiesta di una confezione di preservativi. Oggi, lo stesso ragazzo, entrerà domandando a piena voce i profilattici e poi, imbarazzato, un pacchetto con il filtro.
La nazione le cui truppe vittoriose attraversavano l’Europa dalla Sicilia alla Danimarca lanciando dai carri armati Sherman stecche di Chesterfield, Pall Mall o Lucky Strike insieme con tavolette di cioccolato Hershey sulle folle osannanti, oggi vorrebbe potersi riprendere quelle tonnellate di sigarette, sapendo di avere causato milioni di morti premature. Ma è troppo tardi e nel tipico rimorso dell’ex peccatore — e seduttore — pentito, le autorità Usa oggi fanno a gara per mostrarsi fanaticamente puritane contro l’ultimo vizio esecrabile senza timore di “scorrettezza politica”.
Prima di lasciare la poltrona di sindaco di New York a Bill de Blasio, Michael Bloomberg, ex consumatore confesso di tabacco e di cannabis, ha imposto 22 divieti vari contro il fumo, dalle piscine ai parchi pubblici alle spiagge di Coney Island, compreso il divieto di sigarette elettroniche: e il successore si guarderà bene dall’annullarle. Bloomberg ha donato 220 milioni di dollari suoi a iniziative per reprimere il fumo in quel Terzo Mondo verso il quale i produttori di sigarette oggi rovesciano quello che non vendono più in casa. Soltanto 16 delle 60 città più popolose d’America — la maggioranza delle quali in Texas — permettono ancora di fumare in locali pubblici all’aperto. Persino nel North Dakota, terra di ormai dimenticati cowboy con la cicca penzolante dalla bocca, con una densità di tre abitanti per chilometro quadrato (contro i tremila della capitale Washington) il governatore e l’assemblea legislativa hanno bandito il fumo per evitare i pericoli, forse modesti, del fumo indiretto. Tentativi di proibirlo anche nelle auto private sono invece falliti quando gli agenti di polizia hanno dimostrato l’impossibilità di lanciarsi all’inseguimento di automobilisti con la sigaretta.
Ma se la guerra al tabacco – coltivazione che proprio negli Stati del Sud, dalla Virginia alle Carolinas, conobbe la massima esplosione dopo il tramonto del riso e del cotone – è ancora lontana dall’essere vinta, certamente le imposte punitive non dispiacciono a sindaci e governi locali. New York fa pagare le sigarette quasi 8 dollari a pacchetto, mentre alcune aziende cominciano a negare l’assicurazione sanitaria a dipendenti tabagisti. L’America che “inventò” iltabaccononhaancoraspentol’ultimo mozzicone, ma la campagna cominciata mezzo secolo fa ha dimostrato qualcosa della quale purtroppo ancora il mondo politico non ha saputo far tesoro: che la cittadinanza informata e mobilitata può sconfiggere, o contenere, anche la più ricca e agguerrita delle lobby. Come era, appunto, quella del tabacco.
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