Costituzione tunisina Sì a religione ufficiale

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Una svolta cruciale per il Paese, entrato da luglio in una grave crisi politica, mentre quella economica resta irrisolta, per la contrapposizione tra il partito di maggioranza relativa, l’islamico Ennahda, e l’opposizione, che accusava il primo di complicità o almeno lassismo nei confronti dei gruppi jihadisti armati. Dopo l’adozione della Costituzione, prevista entro il 14 gennaio, terzo anniversario della fuga del dittatore, entrerà in carica un governo ad interim di tecnocrati fino alle elezioni. La scommessa è completare il processo di transizione pacificamente e senza spaccare il Paese, evitando cioè quanto è avvenuto e avviene in Egitto o in Libia. Per il momento, nonostante i ritardi e i toni accesi dello scontro politico, l’ipotesi sembra realizzabile.
La volontà di trovare un compromesso, evitando tra l’altro il ricorso a un referendum necessario se la Costituzione non avrà l’assenso dei due terzi dell’assemblea, si è vista ieri. L’articolo 1 proclama infatti che «la Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano. L’Islam è la sua religione, l’arabo la sua lingua e la repubblica la sua forma di governo». Ovvero, la legge islamica, la sharia, non è la fonte di diritto principale, una richiesta che Ennahda aveva già ritirato nel 2012 e che alcuni deputati di altri partiti ieri hanno ripresentato senza successo. La formulazione approvata non differisce così dalla Costituzione varata nel 1959 sotto il governo «laico» di Habib Bourguiba. Lo Stato, aggiunge uno degli altri sette articoli approvati ieri su un totale di 150, è «garante della libertà di coscienza» (frase contestata invano da alcuni islamisti non di Ennahda) ma è anche «protettore del sacro» (termine criticato da alcune Ong temendo ingerenze dello Stato nel privato dei cittadini).
Contrasti sono già annunciati anche per articoli al vaglio nei prossimi giorni. Quello che sancisce «la sacralità del diritto alla vita», ad esempio, in un Paese dove l’aborto è legale come lo è la pena di morte. O quello sui diritti delle donne, ritenuto vago e insufficiente. Ma i partiti hanno trattato per mesi, e l’accordo di massima sembra garantito per tutti gli articoli. Compreso quello forse più importante, che limita fortemente i poteri del presidente rispetto alla Costituzione del 1959 che poi aprì la strada, di fatto, alla dittatura.
Cecilia Zecchinelli


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