by Sergio Segio | 5 Gennaio 2014 8:29
Quasi non ci credeva, quando gli è stato comunicato: «Scherzate?». Insomma, le dimissioni di Stefano Fassina non hanno gettato nello sconforto il segretario del partito e i suoi. Vengono considerate più che altro un pretesto, un modo per Fassina di mollare una barca nella quale non credeva più e anche un rigurgito tardivo di battaglia congressuale. Il dispiacere più grande, semmai, è che il gesto abbia tolto visibilità a una segreteria preparata con cura. Allestita in «casa», a Firenze, durata oltre sei ore e seguita da un’affollatissima conferenza stampa tenuta dal segretario in persona, invece della prevista Debora Serracchiani. Ai cronisti Renzi ha spiegato che la priorità è la legge elettorale, su cui «si sono fatti più passi avanti in tre giorni che in tre anni». E ha avvertito Angelino Alfano: «Non usi le divisioni sulle unioni civili per non fare la legge elettorale».
Di Fassina e di rimpasto, durante la segreteria, non si è parlato. Che il segretario sia allergico alla parola è noto. E non solo alla parola, visto che questa antica pratica politica da una parte rischia di metterlo in cattiva luce nei confronti dell’opinione pubblica, dall’altra, l’immissione di uomini nuovi nella squadra di governo è una compromissione con l’esecutivo non del tutto gradita, visto che l’arma delle elezioni, ufficialmente sempre negata, resta come extrema ratio. Per questo le continue allusioni dei giorni scorsi di Fassina, sulla necessità di un impegno diretto dei renziani nell’esecutivo, non sono state gradite. Qualcuno pensa che Renzi, con il suo «chi?», abbia voluto dare un aiutino a Fassina per dimettersi. Ma sono in molti anche a pensare che sia stata solo una battuta, nello stile del segretario, e che il viceministro ne abbia prontamente approfittato.
Matteo Orfini, «giovane turco», disapprova la scelta: «Le dimissioni indeboliscono il governo, Fassina doveva impegnarsi di più». Orfini non apprezza neanche «la guasconata» di Renzi, ma resta l’interrogativo sul perché: «Si fa fatica a capire la ratio delle dimissioni. Sembra una roba di dialettica interna, decisamente fuori dal tempo».
È quello che pensano molti renziani. I più sono irridenti o tranchant, come Ernesto Carbone: «Una pantomima ridicola». E Andrea Marcucci: «Si lascia un incarico quando si dissente da una linea politica, non per futili motivi. Ma non saranno le decisioni strumentali di Fassina a mutare il clima di grande collaborazione che c’è nel partito». Il sospetto di alcuni è che l’obiettivo di Fassina sia duplice: da una parte segnare la sua distanza da Renzi, riconquistando una sua visibilità personale nell’area Cuperlo (che infatti solidarizza) e magari porlo come possibile capo dell’opposizione interna; dall’altra, chiamarsi fuori da un governo di cui non condivideva molto sin dall’inizio e tornare con le mani libere.
I maligni pensano che in fondo a Renzi non dispiaccia questa mini picconata al governo. Perché la competizione tra Renzi e Letta, sia pure a medio-lungo termine, resta sempre sullo sfondo. In realtà, sostengono i fedelissimi del «giglio magico», «a Matteo non fa né caldo né freddo. È del tutto indifferente». E non sarà un ipotetico rimpasto a mettere in difficoltà i renziani: «Non ci caschiamo. E comunque, la questione semmai riguardava i ministri, non certo i viceministri».
A segnalare l’olimpico distacco di Renzi dall’affaire Fassina c’è anche il tweet serale del segretario. Che in piena bufera non cita neanche l’ex viceministro: «Molto contento dei lavori della segreteria. Adesso legge elettorale, quindi tagli alla politica, poi jobs act per creare lavoro». Sul lavoro, in realtà, si è ancora lontani da una «quadra». Quel che è certo, spiega Marianna Madia, «è che non si partirà dai contratti, ma sarà una riforma complessiva». Alla direzione del 16, Renzi ne offrirà un assaggio, in forma di bozza. Il giorno prima si dovrebbe tenere un’altra segreteria, questa volta a Roma. Ma le successive si svolgeranno in altre parti d’Italia, dove è previsto il voto: tra le altre, Bari.
In conferenza, Renzi precisa che il suo modello di «partnership alla tedesca» non prevede le adozioni. Spiega di non considerare le Europee «uno spartiacque»: «L’entusiasmo per queste elezioni non lo vedo». E lancia l’ennesimo appello ai 5 Stelle: «Guai a sottovalutare il loro dibattito interno». Alla segreteria partecipa anche il tesoriere Francesco Bonifazi. Che squaderna i conti «preoccupanti» del Pd. E a margine spiega: «Ci sono alcune voci di spesa che non condivido affatto. Comunque, per tagliare non partiremo certo dal personale o dagli affitti».
Alessandro Trocino
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