Viaggio alla ricerca del Paese smarrito

by Sergio Segio | 7 Dicembre 2013 9:12

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La sottolineatura della gravità della crisi si intreccia infatti allo sforzo di individuare le possibilità di ripresa («il crollo atteso da molti non c’è stato (…) serpeggia una silenziosa constatazione che “ce l’abbiamo fatta”»). E la segnalazione della ambiguità di alcune “evidenze” (l’avvicinarsi del Paese al baratro, la “stabilità” come salvifico antidoto, l’inadeguatezza della classe dirigente) si accompagna alla denuncia del “vuoto di classe politica, di società civile e di leadership collettiva”. O alla constatazione che un “interventismo pedagogico” ha semmai “accentuato la fatica del vivere quotidiano e la mancanza di speranza per il futuro”.
Il Rapporto è indubbiamente molto franco sul deteriorarsi della realtà del lavoro, “emergenza nazionale”, e dei consumi. Il 2013 infatti “ha fatto venir meno la speranza” che la crisi del mercato del lavoro “possa essere breve e per certi versi contenibile”: “la sensazione che il peggio debba ancora venire accentua la dimensione di incertezza e paura”, in un disagio che si allarga ben oltre le fasce giovanili. Sono altrettanto eloquenti i dati sui consumi, ove la “sobrietà” rispetto a precedenti e non virtuosi modelli di consumo è intessuta di sacrifici talora pesanti, dall’alimentazione agli stili di vita. E ove cresce la protezione offerta di necessità dalle reti familiari o da quelle costituite da amici e conoscenti. Anche il trend dei consumi, insomma, ci parla di un Paese smarrito e profondamente fiaccato. Ci ripropone quell’erosione del “grande lago del ceto medio, storico perno della coesione e dell’agiatezza sociale” su cui si era soffermato il Rapporto dello scorso anno. Il Rapporto delle tre R: risparmio, rinuncia, rinvio.
Eppure, osserva il Censis con una torsione, “il crollo non c’è stato” e occorre semmai chiedersi quale realtà sociale abbiamo di fronte dopo la lunga fase segnata dalla necessità di sopravvivere. Prima di indicare possibili vie d’uscita il Rapporto non manca neppure di segnalare alcuni “non entusiasmanti orientamenti di psicologia collettiva”. Da un lato la progressiva perdita di quel “fervore del sale”, di quella capacità di dinamismo che ha costituito il motore del nostro sviluppo nella seconda metà del Novecento (insidiato ora da eccessi di furbizia, disabitudine al lavoro, immoralismo). Dall’altro un malcontento connesso al “grande e inatteso ampliamento” delle diseguaglianze sociali: un’Italia “sciapa e malcontenta” al tempo stesso, dunque.
Ma davvero è scomparso del tutto il fervore che aveva innervato il nostro sviluppo? Così non è, osserva il Censis rivolgendosi in primo luogo a quel “capitalismo molecolare” che è stato tradizionalmente al centro della sua attenzione e che non sembra aver smarrito tutte le proprie potenzia-lità: non in grado di avviare da sole, oggi, una nuova fase ma capaci di reagire positivamente a ulteriori stimoli. Vi aggiunge poi alcuni processi “in lenta emersione” come il crescere dell’imprenditorialità femminile o della presenza imprenditoriale e sociale degli immigrati. O il ruolo dei sempre più numerosi italiani, spesso giovani, che vivono all’estero per differenti ragioni e che possono rafforzare la nostra presenza nella “grande platea della globalizzazione”. E vi sono infine processi che possono offrire nuove opportunità di impresa, dalla revisione del welfare all’economia digitale.
Quale può essere però il filo rosso capace di agire da motore decisivo in tutti questi campi? Qui il Rapporto cala la sua parola chiave, connettività: cioè una capacità di relazione e interazione dal basso di cui si segnala già il manifestarsi e il procedere. Una “connettività orizzontale” tradizionalmente contrastata da tratti portanti del nostro vivere, dall’egoismo particolaristico alla “contrapposizione emotiva”: proprio essi però hanno accentuato la nostra crisi, e da qui può dunque prender avvio un ripensamento profondo e fecondo. Ipotesi suggestiva, certo, anche se l’auspicio sembra prevalere sull’analisi e trova al tempo stesso corposi ostacoli proprio in quella pesantezza della situazione che impronta di sé le parti centrali del Rapporto.

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