Uno schiaffo agli stregoni

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 Un sistema che era stato studiato per evitare che il vincitore annunciato alle elezioni del 2006, il centro- sinistra guidato da Romano Prodi, potesse insediarsi a Palazzo Chigi forte di una maggioranza omogenea tra Camera e Senato. Inventando un premio di maggioranza che distorce in maniera clamorosa il principio di rappresentanza, differenziando la sua applicazione tra Camera e Senato e adottando le liste bloccate, gli apprendisti stregoni del centro-destra hanno portato al voto gli italiani in condizioni di “minorità democratica”. Questa menomazione dei diritti deriva, come sottolinea la Corte, dal premio di maggioranza e dalle liste bloccate che vengono quindi considerate gravi violazioni della possibilità di determinare, attraverso il principio di “un uomo un voto”, la volontà dei cittadini.
La Corte Costituzionale ancora una volta interviene a supplenza della politica, come da ormai lunga tradizione (basti ricordare le sentenze della Corte guidata da Giuseppe Branca negli anni Settanta che aprirono la breccia alla stagione dei diritti civili). Il suo schiaffo all’inerzia parlamentare è sonoro. In nove mesi non è stato partorito nulla e i partiti si sono spesi in ballon d’essaie proposte alambiccate. Ora non ci sono più scuse, e non c’è nemmeno più tempo. Le Camere devono produrre ad horas una nuova legge che dovrà necessariamente tener conto delle indicazioni fornite dalla sentenza di ieri. Anche perché il rischio è che si vada a votare con la proporzionale. Un rischio da evitare assolutamente.
Il compito di elaborare dovrà impegnare a tempi serrati tutto il Parlamento. Però questa sentenza “delegittima” gli esponenti del centro-destra di allora, ideatori del Porcellum, da Bossi a Casini, da Berlusconi allo stesso Alfano: tutti corresponsabili di questo
monstrum premiale, disomogeneo e bloccato. Spetta agli oppositori del Porcellum, peraltro troppo acquiescenti e troppo a lungo silenziosi, proporre una nuova legge elettorale dato che Lega e Forza Italia (ma anche il Nuovo Centro Destra) hanno oggettivamente perso voce in capitolo.
Il Pd diventa il master del gioco. E allora deve fare piazza pulita di formulette e giochini al ribasso e puntare alla chiarezza e alla semplicità. Gli elettori hanno diritto di poter decidere tra alternative chiare e ben visibili, sapendo bene qual è il reale peso del loro voto. Soprattutto devono vedere in faccia il loro eletto. A questo punto al Pd non rimane che ritornare alla sua opzione originaria, sempre recitata come una giaculatoria salvifica e poi sacrificata sull’altare della responsabilità e della concertazione: il doppio turno.
Quello adottato in Francia per le elezioni legislative rappresenta un modello sperimentato che ha consentito nel tempo la riduzione della frammentazione, la formazione di coalizioni alternative e la governabilità. Poi si possono studiare anche altre varianti, purché gli obiettivi rimangano gli stessi. Infatti il doppio turno riporta nelle mani dei cittadini la scelta del loro eletto, e consente di riallacciare un rapporto fiduciario tra cittadini e rappresentanti, finora segregato dalle liste bloccate.
L’antipolitica montante di questi ultimi anni è stata alimentata anche dalla distanza, anzi dalla barriera, che separava elettori ed eletti. Ridurre questa separazione, mantenendo le condizioni per il bipolarismo, è un imperativo. E per rispondervi non è rimasta che questa strada.


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