Un limbo che favorisce gli attacchi al sistema

by Sergio Segio | 6 Dicembre 2013 8:07

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Probabilmente è vero che le elezioni anticipate si allontanano. Ma si avvicina una fase paludosa e confusa, della quale si scorgono i primi indizi. Il potenziale conflitto tra Senato e Camera su chi debba affrontare la questione tocca gli equilibri del governo. Gli avvertimenti del Nuovo centrodestra al presidente dell’assemblea di palazzo Madama, Pietro Grasso, a non cedere alle richieste di Laura Boldrini, rivelano il timore che a Montecitorio la riforma sia plasmata da una sinistra che lì ha la maggioranza assoluta dei seggi.
Non a caso, Renzi insiste sulla Camera, ironizzando su chi «ha una fifa matta delle elezioni». Ma approvare la riforma lì significherebbe umiliare e forse far saltare la maggioranza governativa guidata da Enrico Letta; e su un tema decisivo come il sistema di voto. Si tratta di un dibattito emblematico, benché nemmeno a Montecitorio la sinistra sarebbe certa di trovare un’intesa. Il Pd è diviso, come tutti i partiti, altrimenti non si sarebbero rassegnati a «far sciogliere alla Consulta un nodo che doveva sciogliere la politica», osserva il vicepresidente del Csm, Michele Vietti. Il problema «era e resta» la volontà politica di riformare il sistema elettorale, ribadisce Giorgio Napolitano. Ma il capo dello Stato sa che questa volontà difetta, o è frustrata da interessi ancora distanti.
È indicativo il modo in cui Matteo Renzi, da domenica probabile segretario del Pd, affronta il dopo-Consulta. Il sindaco di Firenze è considerato una delle «vittime» della sentenza, perché in mancanza di una riforma si dovrebbe votare col sistema proporzionale: un esito che azzererebbe la sua strategia decisionista, restituendo un Parlamento ingovernabile e costringendo i partiti a decidere le alleanze dopo e non prima delle elezioni. Ebbene, ieri i seguaci del sindaco hanno spiegato che l’agenda delle riforme deve essere decisa da Renzi «insieme con il presidente Letta».
Rimane da capire quali saranno le basi per un loro compromesso, visto che il prossimo segretario è contrario alle larghe intese guidate da Letta. E il premier sa che Renzi punta su palazzo Chigi. Centristi a parte, tutti giurano su un sistema bipolare e rifiutano il ritorno al proporzionale. Napolitano ricorda il referendum popolare del 1993 nel quale vinse il maggioritario. Ma finché non arrivano le motivazioni della Corte costituzionale sarà difficile trovare la soluzione.
In questo limbo rischiano di lievitare gli attacchi a un sistema istituzionale plasmato dal «Porcellum» e dunque bollato come abusivo. Non c’è solo Beppe Grillo. Soffia sul fuoco anche Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. L’offensiva ha obiettivi multipli. Il primo, a oggi improbabile, è provocare il voto a primavera. Il secondo, è accreditare l’illegittimità dei governi nazionale e di quelli regionali, del Quirinale e del Parlamento. Il terzo è di arrivare alle europee del 2014 come campioni dell’antipolitica. Con la deriva populista montante, alimentata dall’immobilismo sulle riforme, le opposizioni contano di ottenere qualche voto in più senza sforzi eccessivi.

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