by Sergio Segio | 28 Dicembre 2013 9:29
“Da oggi sono ufficialmente nell’illegalità” ha osservato Frank Mugisha, attivista gay ugandese e direttore dello Sexual Minorities Uganda[1] (Smug) quando il parlamento di Kampala ha approvato lo scorso 20 novembre la legge, proposta la prima volta nel 2009 e ferma in parlamento dal 2010, che prevede l’ergastolo per “l’omosessualità[2]aggravata” in caso di recidiva e fa rischiare la prigione anche chi non “denuncia” le persone gay alle autorità. “Ora i gay nel nostro Paese vivono nel terrore, hanno paura a uscire di casa, ma proveremo ugualmente a bloccare la legge in tribunale” ha concluso Mugisha.
Di fatto l’omosessualità era già illegale in Uganda (come in altri in 38 paesi dell’Africa) per via di una legge risalente al periodo coloniale che la condannava in quanto “contraria all’ordine naturale”, ma ora la nuova norma inasprisce le pene eproibisce la promozione dei diritti dei gay e il sostegno di ogni tipo agli omosessuali, decisione che ha lasciato senza parole anche Pepe Julian Onziema, transessuale e figura di spicco del movimento gay ugandese che era riuscito nel 2012 ad organizzare il primo Pride dell’Uganda. A parzialissima consolazione dal testo è stata esclusa la pena di morte[3], che invece figurava nelle intenzioni del legislatore quando il progetto di legge fu presentato in Parlamento nel 2010 incassando la dura condanna di molti leader mondiali.
Il deputato che più ha voluto il nuovo disegno di legge, David Bahati, ne ha giustificato la presentazione dichiarando che gli “omosessuali provenienti dall’Occidente rappresentano una minaccia per le famiglie ugandesi reclutando sempre nuovi bambini africani al loro stile di vita”. Una spiegazione che raccoglie grande consenso presso l’opinione pubblica ugandese, convinta che il Paese abbia tutto il diritto di approvare una legge che protegga i suoi bambini[4]. Il riferimento agli occidentali trova in questi giorni anche un nome e un cognome: Bernard Randall, un cittadino britannico ritiratosi in Uganda e attualmente sotto processo per “traffico di pubblicazioni oscene”. Anche per questo dopo l’approvazione, lo stesso Bahati ha esultato parlando di “un voto contro il male” da parte di “una nazione timorata di Dio”. “È una vittoria per l’Uganda, questi sono i nostri valori, non importa cosa pensino nel resto del mondo” ha concluso Bahati.
Per Amnesty International[5] la nuova legge contro l’omosessualità “ostacolerà in modo significativo il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle altre persone che, semplicemente eseguendo il loro lavoro, si troveranno in conflitto con il provvedimento”. A detta della ong[6] il Paese, “che aveva ridotto l’infezione di AIDS[7] grazie all’uso massiccio di preservativi”, è ritornato a aumentare il numero dei contagi, dopo che leader politici e religiosi, irretiti dalla pesante influenza dei predicatori evangelisti americani arrivati in massa durante la presidenza di George Bush jr, hanno iniziato una campagna anti AIDS giocata sulla propaganda della fedeltà di coppia e sulla castità e non sull’uso del condom oltre a diffondere in tutta l’Africa la lotta all’omosessualità. Nel mirino degli attivisti gay in questi mesi c’è stato soprattutto Scott Lively, evangelista del Massachusetts, citato nel marzo 2012 per omofobia tramite l’Alien Tort Statute[8], che consente a chi non è cittadino americano di sporgere denuncia presso le corti a stelle e strisce nei casi in cui sia manifesta la violazione del diritto internazionale. Scott Lively si è difeso negando di voler perseguire la “severa punizione” dei gay e di non voler incitare alla violenza contro gli omosessuali, consigliando loro piuttosto di sottoporsi a una “terapia”.
La legge antigayarriva dopo che nei giorni scorsi il parlamento aveva approvato nuove norme che vietano di indossare la minigonna e “abiti indecenti”. “Sembra che in Uganda si sia tornali ai tempi austeri della regina Vittoria. Speriamo che papa Francesco intervenga contro questo obbrobrio – ha spiegato[9] al telefono ad Africa ExPress[10] un militante gay – Qui purtroppo anche molti cattolici sono schierati a favore di questa legge liberticida”. Adesso per l’entrata in vigore resta un solo passaggio: la firma del presidente, Yoweri Museveni. Che però non è scontata. Maria Burnett, ricercatrice presso il dipartimento Africa di Human Rights Watch[11], ha spiegato che “Il presidente ugandese può ancora respingere la legge e mandare un chiaro messaggio: che l’Uganda non ci sta a questo genere di discriminazione e intolleranza. Il fatto che sia stata cancellata la pena di morte è già una buona cosa, ma il carcere a vita e altre allarmanti disposizioni restano, molte delle quali sono del tutto inapplicabili”. Alcuni Paesi, infatti, hanno già criticato duramente la legge e se dai governi occidentali, innanzitutto dagli Usa, arrivasse una ferma condanna accompagnata da una rinnovata minaccia di chiudere il rubinetto degli aiuti, il capo di Stato ugandese avrebbe più di una ragione per pensarci.
Qualcosa già si muove. L’Unione europea[12] ha “deplorato” il via libera del parlamento dell’Uganda alla legge ed ha esortato le autorità di Kampala a “rispettare il principio della non discriminazione”. “Deploro l’adozione della legge anti-omosessualità in Uganda – ha detto il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton – che va contro i principi della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici[13] e della Carta africana dei diritti umani[14]”. Ma risolutiva sarà la telefonata che Museveni prevedibilmente riceverà dal presidente americano Barak Obama, il quale durante il suo viaggio in Africa, qualche mese fa, aveva definito “odiose” le legislazioni anti gay e ammonito i leader africani ad essere tolleranti con gli omosessuali e a “non negar loro quei diritti diventati tali in tutto il mondo occidentale”.
Alessandro Graziadei[15]
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