Si riparte da una nuova agenda con giustizia e immigrazione

by Sergio Segio | 3 Dicembre 2013 10:30

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ROMA — Lo schema era quello, già ampiamente previsto, di una conferma del governo attraverso un passaggio parlamentare, cioè senza l’apertura di una crisi formale. Così, la procedura per superare «la discontinuità» provocata dall’addio alla maggioranza di Forza Italia contempla il rituale dibattito sulla fiducia, con un discorso del premier per assicurarsi la «ripartenza» attraverso un voto. È questo «il convincimento» comune di Giorgio Napolitano ed Enrico Letta dopo il faccia a faccia di ieri sera. Poco importa, dal punto di vista del Quirinale e di Palazzo Chigi, che qualcuno la definisca una «soluzione minimalista», recriminando ancora adesso che il presidente del Consiglio avrebbe dovuto presentarsi in Aula dimissionario. In primo luogo il suo esecutivo non è mai stato sfiduciato e nessun ministro si è dimesso (il che esclude anche un rimpasto, sottosegretari dimissionari a parte). E poi nella storia costituzionale italiana sono diversi i precedenti di verifiche svolte su un percorso simile e, appunto, portate a termine senza un congedo preliminare del capo dell’esecutivo.
Ma perché la legislatura possa continuare evitando altri strappi e fibrillazioni non proprio fisiologiche come quelle che si sono avute prima dello show-down di Berlusconi, bisogna che Letta stabilizzi subito il quadro politico dentro le nuove — e meno larghe — intese. Serve un programma stringente e preciso. Serve un patto di lavoro condiviso su una base comune, in grado di responsabilizzare i partner e soprattutto di sterilizzare la spinta alle rivendicazioni di una parte contro l’altra registrate nelle ultime settimane, e alimentate dall’eterna chiave pre elettorale. Serve, insomma, che arrivino «fatti e risposte» concretamente misurabili nella vita quotidiana dei cittadini.
Hanno parlato pure di questo, Napolitano e il premier, ieri. Chiaro che l’ossatura dell’agenda con la quale Enrico Letta ottenne l’investitura sette mesi fa non può cambiare più di tanto. Per fare qualche esempio, dall’impegno di uno stop all’Imu sulla prima casa (mantenuto con molta fatica) ai tagli alla politica (ancora da completare con la spending review affidata al commissario straordinario Cottarelli); da interventi sullo scudo fiscale a un piano per il lavoro annunciato come «gigantesco»; dal rilancio della lotta alla disoccupazione al riordino del bilancio pubblico, alla ricontrattazione dei vincoli europei, alle privatizzazioni…
Certo, questi punti sono in parte compresi nei provvedimenti che compongono la legge di Stabilità già approvata al Senato e in via di perfezionamento alla Camera. L’intera griglia potrebbe, però, essere aggiornata e corretta alla luce delle richieste dei leader di Partito democratico, Nuovo centrodestra e Scelta civica. Le incognite maggiori, e destinate a condizionare l’esito della partita vengono dalla prova di forza tra Pd e Ncd. Ossia tra Matteo Renzi, da tutti dato come probabile vincitore delle primarie, e Angelino Alfano. I due si stanno sfidando con intermittenti durezze, quasi a dimostrare chi possiede davvero la golden share sul governo. E se è vero che Alfano deve dimostrare alla sua gente di non essere la «ruota di scorta della sinistra» (come lo irride Berlusconi), Renzi gioca provocatoriamente a tutto campo, senza rinunciare a minacciose piccole frustate allo stesso premier che non sembrano affatto «solo fuochi congressuali» (come li ha sdrammatizzati Letta).
La chiave per fare sintesi, spazzare via disegni egemonici e ricostruire — attraverso negoziati riservati — un rapporto fiduciario che si proietti su un orizzonte di almeno 12 – 18 mesi, fino alla primavera del 2015, è quindi quella di un buon compromesso. Il capo dello Stato, che ha una lunga esperienza nella politica e nelle istituzioni, avrà probabilmente offerto qualche prudente consiglio al suo interlocutore (peraltro già navigato di suo). Anche qui, un paio di esempi tematici sui dossier da inserire, imposti peraltro dall’attualità ed echeggiati durante il colloquio sul Colle: 1) la questione carceraria, da coniugare con alcuni interventi sulla giustizia sui quali insiste il centrodestra; 2) la questione immigrati, divenuta emergenza nazionale dopo i drammi di Lampedusa e Prato.
Non basta. Per far convergere gli alleati e blindare sul serio il governo, infatti, è necessaria un’intesa anche sulle riforme. A partire da quella per cancellare l’attuale, e da tutti rinnegata, legge elettorale. Napolitano lo ha ripetuto infinite volte: il tasso di responsabilità, di credibilità e di efficienza di questo esecutivo nato come «eccezionale», delle istituzioni e dell’intera classe politica si misurerà qui.
Marzio Breda

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