by Sergio Segio | 12 Dicembre 2013 11:01
ROMA — «Fallimento totale o cambiamento profondo». Tertium non datur, per Matteo Renzi, che a sera fa il punto della sua giornata. Ma la sua corsa a cambiare il partito, o almeno a provarci, comincia in orario antelucano, con la segreteria mattutina. Non un rito formale, ma il vero centro decisionale dell’«esecutivo» del segretario, che non vuole «caminetti» né coordinamenti politici. Poi tutti a votare la fiducia al governo Letta, mentre Renzi è al Quirinale. L’obiettivo del neosegretario è duplice: domare il partito, per avere manovra d’azione, e concretizzare le promesse, dalle riforme istituzionali ai costi della politica.
Nella prima riunione, Renzi ribadisce le sue priorità e ripete che la riforma elettorale è e resta materia del Parlamento. Nel pomeriggio il primo successo: il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda dà il via libera, a nome del partito, per spostare l’iter della legge alla Camera.
Renzi ribadisce anche l’intenzione di dare all’opposizione la presidenza dell’assemblea del partito. Ma il ruolo, ricoperto finora da Rosy Bindi, resta ancora vacante. Cuperlo ha già detto no. Non vorrebbe farsi ingessare in un ruolo istituzionale e dare l’impressione di deporre le armi. Ma quel no stamattina potrebbe trasformarsi in un sì.
Nella partita non è irrilevante il ruolo dei Giovani Turchi, che pur non essendo renziani vorrebbero avere un’interlocuzione con il nuovo segretario e rifiutano l’idea di un correntone d’opposizione. Matteo Orfini e Andrea Orlando insistono perché Cuperlo accetti l’incarico. Gli stessi, del resto, erano favorevoli a un ingresso di Orfini nella segreteria, bloccato poi da Cuperlo. Stefano Fassina è d’accordo: «La segreteria è l’organo di governo di Renzi, non si capisce perché debbano entrare uomini dell’opposizione».
Una contesa apparentemente formale, che ha però a che fare con gli equilibri del partito. Renzi all’assemblea dei gruppi di martedì sera ha dato segnali rassicuranti per tutti, ma ha anche fatto capire che proseguirà sulla strada tracciata. Sul costo della politica, non dovrebbero esserci troppe divergenze. Qualche problema in più sulla riforma elettorale. «La formula che usa, il sindaco d’Italia — dice Pippo Civati — è sin troppo fumosa». In molti attendono al varco Maria Elena Boschi, giovane responsabile delle Riforme. Alla legge elettorale, insieme a lei, stanno collaborando il ministro Graziano Delrio e Matteo Richetti. Su questo tema si gioca anche la stabilità del governo Letta. Un renziano doc come Dario Nardella, parlando con il Foglio dà «due mesi» per realizzare le riforme «altrimenti non avrebbe più senso continuare con questa esperienza di governo».
Al Quirinale, Renzi ribadisce le priorità e inserisce anche la legge elettorale: l’obiettivo resta il varo, almeno in prima lettura, entro le Europee di fine maggio. Che abbia fretta lo dice anche nella enews: «Loro parlano di riforme da 30 anni, noi le faremo». E a Grillo, sul finanziamento pubblico, risponde su Twitter: «Ti rispondo nei prossimi giorni con una sorpresina che ti sto preparando».
L’altro tema delicato di cui parla con Napolitano è il lavoro. Delicato anche per gli equilibri interni nel Pd. «Spero — dice Rosy Bindi — che scelga un metodo collegiale». Possibile, ma Renzi mette le mani avanti: «In campagna elettorale abbiamo parlato di riforme delle regole del gioco, di un piano per il lavoro e della battaglia per trasformare l’Europa. A questi impegni non sono vincolato solo io, ma l’intero partito». Come a dire: non provate a frenarmi perché la mia posizione è quella scelta dagli elettori.
Primo banco di prova, l’assemblea di domenica, a Milano, dove Renzi proporrà Francesco Bonifazi come nuovo tesoriere. Ma il sindaco di Firenze vuole mantenere il contatto con la gente: «Anche se mi accuseranno di demagogia, lavorerò tra le persone, non chiuso nei palazzi romani e nell’iperuranio parallelo dei lanci di agenzia e del politichese».
Alessandro Trocino
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