Renzi, le due anime del Pd e il mistero dell’articolo 18
Marianna Madia, che pure è la responsabile Pd per il lavoro, allarga le braccia sconsolata.
«Guardi, abbiamo fatto una riunione di segreteria ancora giovedì, l’altro ieri, proprio su questo: il piano-lavoro, che Renzi vorrebbe pronto entro un mese. E naturalmente di tutto abbiamo discusso meno che dell’abolizione dell’articolo 18. Ancora mi chiedo, anzi, chi ha messo in giro la notizia che noi si starebbe ragionando su questo: probabilmente, qualcuno che vuol mandare tutto a gambe all’aria». Ora, dunque, la questione sarebbe addirittura il chi: cioè, chi è che nel Pd ha parlato dell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? «Non Renzi spiega Marianna Madia che probabilmente non sarebbe contrario, ma ha chiaro che non è questo il tempo per una simile discussione, e infatti l’ha ripetuto anche alla presentazione del libro di Vespa». E se non Renzi, chi allora? Gutgeld, forse, solitamente definito consigliere economico del neosegretario Pd? «Magari ne ha scritto dice la Madia -. Ma naturalmente una cosa è quello che scrive Gutgeld e altra quello che decidiamo noi».
Ma tant’è: è bastato perché Stefano Fassina viceministro all’Economia prendesse il bastone e randellasse: il piano lavoro di Renzi «è inutile, se non dannoso», ed è «deprimente il ritorno dell’ossessione sull’articolo 18 e sulle regole, dopo i conclamati fallimenti della ricetta neoliberista». Che Matteo Renzi lo abbia detto oppure lo abbia soltanto pensato, non è
granché importante in questo caso: perché – al di là della polemica a “uso interno” quel che riemerge in queste ore con disarmante nettezza è uno dei tabù (forse il più solido e attuale) che da anni divide la sinistra italiana.
Non l’unico, naturalmente. Qualcuno, per esempio, ricorda le spaccature orizzontali all’interno del centrosinistra ad ogni voto parlamentare per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero? E le polemiche durissime in materia di bioetica o fine vita? Per non dire anche questa questione ancora parzialmente irrisolta dei duelli rusticani in materia di unioni civili, adozioni e matrimoni gay. Ogni volta che la cronaca rende necessario affrontare queste e alcune altre questioni, il solo parlarne spacca il centrosinistra e il Pd quasi precisamente a metà. Come sta puntualmente accadendo in questi giorni di fine anno in materia di abolizione dell’articolo 18: faccenda che, come detto, nessuno né Renzi né membri della sua segretaria ha per ora più o meno ufficialmente posto.
«E sarebbe anche singolare che qualcuno la ponesse annota da Strasburgo Sergio Cofferati, che della difesa dei diritti in senso lato ha fatto per anni una bandiera -. Parlare di come licenziare mentre le aziende non assumono a causa della crisi, è un esercizio di ottimismo o di cinismo, non saprei dire. Senza contare che, in larga misura, l’articolo 18 già non esiste più: visto che la riforma Fornero in matelare che qualcuno la ponesse annota da Strasburgo Sergio Cofferati, che della difesa dei diritti in senso lato ha fatto per anni una bandiera -. Parlare di come licenziare mentre le aziende non assumono a causa della crisi, è un esercizio di ottimismo o di cinismo, non saprei dire. Senza contare che, in larga misura, l’articolo 18 già non esiste più: visto che la riforma Fornero in materia di mercato del lavorolo ha di fatto surrogato, lasciando alle aziende grandi e piccole la possibilità di licenziare per ragioni economiche. E infatti reintegri per giusta causa non se ne vedono più…».
Questo naturalmente non vuol dire che la questione non sia più sul tavolo e che di articolo 18 non si tornerà a parlare (e probabilmente anche non troppo in là nel tempo) Ma il problema, per il Pd, è appunto riuscire almeno a parlarne, evitando che attorno a questo totem (è Matteo Renzi ad averlo definito così) si ricreino schieramenti automatici che piuttosto che guardare alla sostanza del problema guardino ad altro: all’utilità elettorale, alla convenienza di parte, al “ricavo politico” che se ne potrebbe avere alla luce degli equilibri interni.
«Noi non partiremo certo da lì ripete Marianna Madia perché partire da lì vuol dire fermarsi subito». Partire no, va bene. Ma c’è chi spera e il numero di chi lo spera cresce che almeno ci si arrivi. A crisi superata, naturalmente. Perché discutere di come licenziare oggi, a molti appare vagamente surreale…
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