Quello specchio deformante che ingigantisce le proteste di pochi

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Il leader piemontese avrebbe poi incontrato discreti problemi a spiegare il suo Pantheon personale, nel quale alloggia il primo ministro ungherese Orbàn, non esattamente un sincero democratico, e le sue frasi per nulla originali sui banchieri ebrei che dominano il mondo, eterna premessa che prelude all’antisemitismo, non importa se dichiarato o meno.
Ma in quel momento, su quel punto, fortuna e persino maiuscola, aveva ragione lui. Come ottenere la massima visibilità con il minimo sforzo, questo potrebbe essere il titolo. Ci siamo dimenticati, in molti hanno di fatto voluto farlo, dei numeri, che nelle manifestazioni di piazza hanno sempre il loro peso, vedi a ogni corteo il solito minuetto sulle cifre fornite dalla questura. A Torino, divenuta a sua insaputa capitale della rivolta, nel giorno di massima pressione della protesta, contando anche ultrà di Juventus e Toro, c’erano al massimo duemila persone. Non fosse stato per i sassi e i lacrimogeni che volavano, in piazza Castello si sarebbe potuto fare anche una partitella a pallone, che di spazio ce n’era.
Questo non è un dettaglio da poco. Le dimensioni contano. Nello specchio deformato dell’Italia di oggi, è sembrato che il Paese fosse scosso dall’onda di un movimento di massa, che tale ancora non è. L’elemento decisivo per l’ascesa alla notorietà dei Forconi è stato il metodo. Minacciare il barbiere di corso Francia di tagliargli la gola con il rasoio che aveva in mano, circondare e prendere a spintoni il ragazzo del bar di via Alfieri che sta uscendo con il vassoio in mano per portare i cappuccini negli uffici di fronte, impedire insomma alla gente di andare a lavorare, di muoversi liberamente. Si è trattato di questo. Adesso che la protesta conosce una piccola tregua forse è il caso di dire che non se ne è parlato abbastanza, del metodo. L’esplosione mediatica dei Forconi ha canonizzato la protesta contro lo Stato sanguisuga, presentando spesso la gente in piazza e i loro portavoce come martiri del sistema. Il prezzo da pagare a questa narrazione è stato lo scarso rilievo dato ai problemi, eufemismo, provocati alla stragrande maggioranza degli altri cittadini. Eppure anche il metodo è importante, almeno dovrebbe esserlo, perché in questi giorni si è assistito a uno spiraglio del Medioevo prossimo venturo, a una sorta di homo homini lupus al ribasso, io sto male quindi anche tu devi soffrire. «Stiamo diventando sempre più cattivi» diceva sconsolato il barbiere di corso Francia. Aveva ragione anche lui. Sono stati brutti giorni per un paio di principi importanti della nostra convivenza civile, del nostro stare insieme, da comunità, e non da insieme di singoli individui.
«Siamo contro tutti e contro nessuno» gridava un altro dei capi. Non è casuale che un sondaggio del Tg3 stabilisca che l’ottanta per cento degli italiani non ha capito il senso della protesta. In questa vaghezza si è colto solo il senso di un individualismo proprietario, antipolitico e antisindacale, una specie di spontaneismo che autorizzava il via libera a ogni pulsione, a ogni rancore. Il vuoto si riempie sempre, è una legge di natura. Così, sotto parole d’ordine in contrasto tra loro, è stato possibile che pezzi del nostro ceto medio sempre più proletarizzato, titolare ormai solo di un odio generalizzato e senza speranza di futuro, abbiano fornito relativa massa d’urto a una protesta nata e gestita all’interno della destra estrema più residuale, come dimostrano le scoperte e anche gli arresti degli ultimi giorni.
L’asso nella manica di questo casino neppure troppo organizzato è stato proprio l’indeterminatezza, la pura esibizione di un disagio. C’è un implicito ricatto morale nel protestare perché si sta male senza una rivendicazione precisa: dissentire o stare dall’altra parte è quasi impossibile. E poi sono purtroppo tanti quelli che stanno male, che fanno fatica. Così l’effetto della pesca a strascico è garantito, i media non possono ignorare il fenomeno, che in questo modo si gonfia, occupa più spazio di quanto ne abbia sulla mappa del Paese, genera una empatia quasi d’obbligo. E così oscura evidenti indizi del fatto che i Forconi, almeno come si sono palesati finora, non sono la soluzione, ma fanno parte del problema. Che fortuna, davvero. Fino a quando politici irresponsabili, vedi alla voce Beppe Grillo, decideranno di cavalcare questo grumo indistinto, c’è speranza. In attesa che arrivi davvero un’Alba, magari dorata, a portarci via tutti, noi e loro.


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