Protesta shock tra gli immigrati del Cie in otto si cuciono la bocca con ago e filo
ROMA — Il primo è stato un imam tunisino di 32 anni: verso mezzogiorno ha smontato un accendino, è riuscito a ricavare dalle parti metalliche una sorta di ago e con un filo strappato da una coperta si è cucito un lato della bocca. Dopo di lui lo hanno fatto altri tre. Un quinto si è aggiunto nel pomeriggio. Ieri sera erano diventati otto, tutti originari del Maghreb, tutti tra i 20 e i 30 anni e tutti rinchiusi nel più grande centro di permanenza ed identificazione d’Italia, quello di Ponte Galeria a Roma.
Hanno iniziato a urlare per richiamare l’attenzione degli addetti della cooperativa Auxilium che nel 2010 ha sostituito la Croce Rossa nella gestione del centro. Li hanno trovati con la bocca insanguinata e hanno chiamato i medici. Qualcuno ha accettato le cure, qualcun altro ha preferito restare con uno o due punti a serrare le labbra. Nel giorno in cui il ministro dell’Interno
Angelino Alfano riferisce alla Camera su quanto accaduto giorni fa a Lampedusa («Sull’isola sono stati usati metodi inaccettabili ma quel Cie non è una zona franca in cui calpestare i diritti»), un altro caso coinvolge le strutture che secondo la legge Bossi-
Fini possono trattenere, fino a18 mesi, gli immigrati senza permesso di soggiorno in attesa di espulsione. Non un inedito, visto che una protesta così, con le bocche cucite da ago e filo, era già andata in scena tre anni fa nei Cie di Torino e Bologna. «È un atto terribile che indica la disperazione di queste persone per le condizioni in cui si trovano a vivere», commenta Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati.
Degli 8 che ieri si sono feriti solo uno era ospitato lì da più di 50 giorni, qualcuno era arrivato all’inizio di dicembre. Tutti, però, lamentano lo stato di reclusione e nessuno vuole restare ancora nel Cie nemmeno un giorno in più (uno di loro doveva essere rimpatriato domani). Il centro di Ponte Galeria (che a febbraio era stato teatro di una protesta eclatante con gli ospiti saliti sul tetto e materassi e suppellettili incendiate) non soffre una situazione di sovraffollamento: su una capienza che secondo il Viminale può raggiungere le 360 persone, ieri ce n’erano 90, 61 uomini e 29 donne.
Alcuni sono irregolari, altri arrivano dal carcere. Come l’imam che ha animato la protesta, passato dal penitenziario di Civitavecchia a quello di Viterbo con un’accusa per reati legati al terrorismo e arrivato un mese e mezzo fa al Cie di Roma. Tra gli altri
7, solo un paio sono pregiudicati. Lamentano, tra le altre cose, la situazione all’interno del centro. Pesante il giudizio di una delegazione di parlamentari di Sel che ieri sera è entrata a Ponte Galeria per visitare gli otto: «È vergognoso: qui è peggio del carcere e le condizioni igieniche sono preoccupanti — racconta il deputato Filiberto Zaratti — gli ospiti chiedono di essere liberati, non capiscono i motivi della loro reclusione. Anche chi è stato in carcere ha ormai scontato la pena e vorrebbe tornare libero. E non ci sono solo pregiudicati. C’è anche chi vive da anni in Italia, ha cinque figli fuori di qui e si trova al Cie solo perché non aveva il permesso di soggiorno».
L’episodio di ieri ha rinfocolato la polemica politica contro la Bossi-Fini: «Questi fatti ci impongono di riaprire il dibattito su dei luoghi disumani e su una legge che equipara a criminali chi fugge da guerre, violenze e povertà», ha scritto su Facebook il sindaco di Roma Ignazio Marino.
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