by Sergio Segio | 24 Dicembre 2013 8:32
Insomma, non butta bene per i pensionati, né tanto meno per i prossimi pensionati, chi si ritirerà dal lavoro con l’anno nuovo. I primi dovranno fare i conti con aumenti decisamente risicati e con la prospettiva di dover lasciare sul campo un consistente contributo di solidarietà (per le pensioni più alte). Gli altri, in particolar modo le donne, con l’innalzamento dei requisiti per ottenere la rendita di vecchiaia. Questo in sintesi il quadro che si presenta dopo la definitiva approvazione della legge di Stabilità.
Il tormentone indicizzazione
Dopo il blocco di due anni voluto dalla riforma Monti-Fornero, torna finalmente l’adeguamento al costo della vita per le pensioni superiori a 1.486 euro lordi al mese (3 volte il minimo), un ritorno comunque in forma limitata che non va oltre i 2.973 euro lordi (6 volte il minimo). Insomma aumenti magri, anche perché quest’anno il tasso d’inflazione si prospetta relativamente basso. Con la legge di Stabilità 2014, fermo restando l’adeguamento al 100% per le pensioni fino a 3 volte il minimo, si scende al 95% per i trattamenti fra 3 e 4 volte; al 75% per gli importi compresi fra 4 e 5 volte; e al 50% per quelli superiori a 6 volte.
A quelle d’importo superiore a questo limite viene offerto un piccolo contentino di 14,70 euro, che il maxiemendamento ha voluto inserire all’ultima ora per timore che annullando completamente la perequazione si rischiava una pronuncia di incostituzionalità. Da tener presente, inoltre, che il nuovo meccanismo di rivalutazione non avviene più a scaglioni come prima. Questo significa che le riduzioni, quando previste, riguardano l’intero assegno e non solo la parte eccedente la soglia garantita.
Gli aumenti del 2014
Il dato da cui partire è l’andamento dell’indice Istat per le famiglie di operai e impiegati, leggermente differente da quello generale. Ovviamente non è ancora noto il suo andamento per tutto il 2013, ma la legge prevede che questo sia stimato sulla base dei primi nove mesi dell’anno: l’incremento dei prezzi si proietterebbe dunque all’1,2% (come stabilito nei giorni scorsi da un decreto del Ministro Saccomanni), contro il 3% che è stato riconosciuto a partire dal gennaio scorso sulla base della variazione dei prezzi nel 2012. Tradotto in cifre, l’aumento di gennaio 2014, dopo il ripristino «rivisitato» del meccanismo, sarà così articolato:
1) più 1,2% (100% dell’indice Istat) sulle pensioni d’importo mensile sino a 3 volte il minimo di dicembre 2013 (fino a 1.487 euro);
2) più 1,08% (95% dell’indice) per quelle d’importo mensile compreso tra 3 e 4 volte il minimo (da 1.487 a 1.982 euro);
3) più 0,90% (75% dell’indice) per quelle d’importo mensile compreso tra 4 e 5 volte il minimo (da 1.982 a 2.478 euro);
4) più 0,60% (50% dell’indice) per quelle d’importo mensile compreso tra 5 e 6 volte (da 2.478 a 2.973 euro).
Poi, a partire da 6 volte il minimo (2.973 euro al mese) scatta un altro tipo di decurtazione: l’incremento è limitato al 40%, (ossia un aumento dello 0,48%, il 40% appunto di 1,2), ma si applica solo alla quota di pensione che non supera questa soglia. Di fatto, l’aumento viene cristallizzato a poco meno di 15 euro al mese. Non dobbiamo dimenticare che tutti gli importi sono al lordo dell’Irpef (pochi euro in tasca).
Pensioni più alte
Assieme all’indicizzazione torna anche il contributo di solidarietà per gli assegni oltre 90 mila euro che la scorsa estate la Corte costituzionale aveva cancellato. Questa volta sarà del 6-12% sugli importi superiori a 6.936 euro lordi al mese (90.168 euro all’anno). Il contributo viene riproposto per finanziare un sussidio a favore dei più poveri, motivazione che dovrebbe consentire secondo il Governo di superare eventuali nuovi giudizi di costituzionalità. Il contributo è fissato nel 6% per la parte di pensione compresa fra 14 e 20 volte il minimo (90.168—128.811 euro lordi annui), che sale al 12% sugli importi fra 20 e 30 volte il minimo (128.811—193.217 euro lordi annui) e al 18% sulle quote oltre 30 volte.
Domenico Comegna
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