Passaggio in Aula per togliere pretesti a chi vuole la crisi

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Il fatto che abbia assunto un rilievo politico inusuale si deve alle minacce alla stabilità provenienti da alcuni settori del Parlamento e della stessa maggioranza; e dal ruolo decisivo che Quirinale e Palazzo Chigi hanno assunto come garanti della legislatura. Per questo, la decisione di spedire il governo alle Camere per registrare la nascita di una nuova coalizione, dopo il passaggio all’opposizione della Forza Italia di Silvio Berlusconi, non prelude a una crisi; e probabilmente nemmeno a un altro governo a guida Letta.
Il Parlamento sembra chiamato a prendere atto dello strappo berlusconiano. Ma il «sì» dato al Senato sulla legge di Stabilità già prefigura la fiducia «anche nella nuova situazione». Non solo. Il passaggio parlamentare dovrebbe avvenire la settimana prossima, l’11 dicembre. Dunque, dopo l’elezione del segretario del Pd, prevista per domenica. E questo va incontro alle richieste del favorito, Matteo Renzi, che non voleva trovarsi di fronte un equilibrio preconfezionato. L’esigenza di «segnare la discontinuità» tra «la precedente e la nuova maggioranza» serve dunque a stabilizzare e non a terremotare il governo: almeno nelle intenzioni del capo dello Stato e del «suo» premier.
L’idea è quella di non offrire pretesti a quanti sperano di acuire le tensioni al punto tale da provocare una rottura entro la fine dell’anno. Gli attacchi e gli insulti di Beppe Grillo sono scontati. In parte erano prevedibili anche quelli che arrivano dalle file di Forza Italia dopo la scissione del Pdl e la decadenza di Berlusconi da senatore. Il fronte che più preoccupa, tuttavia, è quello interno al Pd. L’aggressività di Renzi cresce mentre ci si avvicina all’8 dicembre e alle primarie. E nonostante Letta tenda a liquidarla come un’esigenza tattica di tipo congressuale, sa che si tratta di qualcosa di più. Tra i sostenitori del presidente del Consiglio si accusa Renzi di fare più danni del Cavaliere e di Grillo.
Di certo, il fatto che la maggiore forza della coalizione cambi leader e già cominci a dettare condizioni agli alleati e a Letta, prelude come minimo a un cambio di marcia e a ulteriori tensioni. La previsione più benevola è che Renzi sia rassegnato alla tenuta del governo fino al 2015, ma voglia marcare in maniera netta la presenza del Partito democratico, più determinante dopo l’uscita dei berlusconiani. Gli scarti sulla riforma elettorale, e l’ennesimo vicolo cieco nel quale si è infilata la maggioranza in Senato, sono segnali di indebolimento dell’esecutivo. Nel tentativo di una parte del Pd di spostare la discussione alla Camera si avverte la fretta di arrivare a una conclusione, qualunque essa sia: anche un fallimento della riforma, che però potrebbe moltiplicare le tentazioni di andare al voto anticipato. Per questo, la nota del Quirinale insiste sulla «discontinuità». Il termine previene e tenta di depotenziare le richieste della probabile leadership dei Democratici.
Lo scambio polemico delle ultime ore tra Renzi e il vicepremier, Angelino Alfano, capo del Nuovo centrodestra, è solo un assaggio. Fa capire che per tentare di piegare Letta, e dietro di lui il Quirinale, a un nuovo equilibrio a sinistra, la tattica del Pd renziano sarà quella di attaccare il partito che ha appena rotto con Berlusconi. Il risultato singolare potrebbe essere un fuoco concentrico su Palazzo Chigi in arrivo dal Pd per quanto riguarda la maggioranza, e da Grillo e Berlusconi per l’opposizione. L’esito non può ancora darsi per scontato. Ma forse è bene registrare la previsione dell’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, per il quale occorreranno all’Italia quindici anni « per risollevare la situazione». «Ma con un segnale nei primi due», avverte Prodi, «le cose andranno meglio». Se non è un viatico per Letta, è un invito a tutti a riflettere sui prossimi passi.


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