Nella notte la crisi: la famiglia accanto a lui

by Sergio Segio | 6 Dicembre 2013 8:12

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Nei giorni scorsi la figlia del paladino della lotta all’apartheid aveva detto che il padre lottava «sul letto di morte». È uscito di scena mentre nei cinema la gente la fila per vedere il film tratto dalla sua autobiografia, «Lungo cammino per la libertà». La sua salute si era deteriorata questa estate. Mandela ha trascorso quasi tre mesi all’ospedale, tra la vita e la morte. Madiba, com’era conosciuto in Sudafrica (dal nome del suo clan) era riuscito a tornare a casa senza mai riprendersi dall’infezione polmonare che lo faceva vivere attaccato a un respiratore. Non parlava più. Non camminava più. Il 18 luglio aveva compiuto 95 anni.

In un Paese dove pensare alla probabile morte di un anziano è tabù, i suoi amici avevano cominciato a ragionare sulla necessità di «liberarlo» da una vita che non avrebbe più voluto: «E’ giunto il momento di lasciarlo andare», aveva scritto un ex compagno di prigione quando Mandela era stato portato all’ospedale. Assieme a Zuma, in queste ore gli è stata vicino Graça, la terza moglie, che aveva sposato a 80 anni e chiamava affettuosamente Mum. Figlie e i nipoti, che durante la degenza in ospedale avevano già cominciato a litigare per l’eredità, sono stati a trovarlo con discrezione negli ultimi giorni.

Ieri il presidente americano Barack Obama ha voluto ricordarlo con parole commosse. «Non ha voluto vendetta ma ha parlato di riconciliazione» ha detto il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. L’ultima apparizione in pubblico risale all’estate 2010, nella fredda sera della finale della Coppa del Mondo di calcio: Madiba fece un giro di campo su un’auto elettrica, la mano nella mano di Graça, un sorriso stampato sul viso, il colbacco in testa. Negli ultimi anni, quando la salute glielo ha permesso, ha vissuto in una casa color pesca nella sua regione natale, a Qunu, nell’Eastern Cape. Classe 1918, leader dell’African National Congress, amico della regina di Gran Bretagna (che lui chiamava al telefono: «Ciao Elizabeth, sono io Nelson») e anche di «cattivi» come Gheddafi, Mandela ha trascorso 27 anni in carcere prima di essere liberato l’11 febbraio 1990 dal governo bianco. Spaccare pietre nelle cave di Robben Island gli ha rovinato gli occhi e i polmoni. Nei primi anni 80 aveva sofferto di tubercolosi.

L’icona della riconciliazione tra neri e bianchi si considerava «un patriota africano». Quando Bill Clinton gli chiese se non fosse uscito di prigione con la rabbia in corpo, Mandela rispose: «Certo. Ma se fossi rimasto con l’ira addosso, allora avrebbero vinto i miei carcerieri: il mio corpo sarebbe uscito, la mia mente sarebbe rimasta prigioniera».

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