L’invito del Colle: nel pacchetto anche il taglio degli eletti e il bicameralismo

by Sergio Segio | 6 Dicembre 2013 8:06

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«Stiamo ragionando su una sentenza della Corte costituzionale che espressamente si riferisce al Parlamento attuale, dicendo che esso può ben approvare, in qualsiasi momento, una nuova legge elettorale… quindi è la Corte stessa che non mette in dubbio una continuità nella legittimazione del Parlamento». Vuole essere netto fino in fondo, il capo dello Stato, per spezzare il circuito di letture strumentalmente drastiche scatenatesi da ieri, nella pretesa che ora scatti un’automatica e generale decadenza dei vertici repubblicani.
Polemiche infondate, dunque. E, anche se basterebbe citare il principio del «tempus regit actum» (per il quale, come sanno tutti gli studenti di giurisprudenza, ogni atto va valutato secondo la norma vigente al momento del suo compimento), lui, per maggiore chiarezza, preferisce rifarsi alla pronuncia della Consulta. Certo, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle cavalcano in trasversale sinergia le provocazioni e i colpi bassi (come quello di gettare ombre anche sul Quirinale e di indicarlo fra le istituzioni «scadute» dopo la sentenza), sperando di lucrare consensi con un voto subito. Ma lo stop del presidente a questo tipo di smanie è inequivocabile, e non a caso merita un impre- visto botta e risposta con i cronisti, tra una tappa e l’altra del suo percorso a Napoli. Una pausa per evocare «il problema che era, e resta», per lui, il vero snodo della questione: il deficit di una «volontà politica del Parlamento tesa a produrre finalmente la riforma elettorale giudicata necessaria da tutte le parti».
Questo è ciò che è mancato e che adesso — dice — «diventa imperativo» costruire. Con uno slancio d’intenti pari a un senso di responsabilità che gli italiani non hanno finora potuto verificare, da parte dei loro rappresentanti. Serve insomma «una volontà politica» — spiega il capo dello Stato — «attenta a ribadire il già sancito superamento, dal 1993, del sistema proporzionale e a ribadirlo insieme con l’introduzione di modifiche costituzionali per quel che riguarda almeno il numero di parlamentari e il superamento del bicameralismo paritario».
Una frase che, posto che la sentenza abbia sul serio blindato per un altro po’ il governo, riassume un dato di fatto e due raccomandazioni. Il dato di fatto è che qualsiasi nuova regola per il voto dovrà andare oltre il vecchio schema del proporzionale, per non tradire lo schiacciante risultato del referendum del 18 aprile ‘93, che ci proiettò verso il bipolarismo. Le raccomandazioni riguardano invece il metodo di lavoro dei partiti, che dovrebbero cogliere l’occasione di sostituire il Porcellum (e di solito, quando si vara una legge elettorale, scatta la tentazione delle urne) per mettere contestualmente in cantiere un paio di riforme utili a sintonizzarsi con gli italiani, sempre più inclini all’antipolitica. Ossia: l’invocatissimo taglio di deputati e senatori e una differenziazione del ruolo delle Camere, così da assicurare maggior efficacia e rapidità d’azione al potere legislativo. E se ci sarà modo di aggiungere qualcos’altro, meglio. Trovare un accordo non sarà facile, e Napolitano ne è perfettamente consapevole. Stavolta però la messa in mora della Consulta (preceduta da un paio di «segnalazioni» sancite da sentenze del 2008 e del 2012) può aiutare. Un pronunciamento-denuncia che, rivendica il capo dello Stato, «non può aver stupito o sorpreso chiunque abbia ricordo delle numerose occasioni in cui sono intervenuto per sollecitare fortemente il Parlamento a intervenire modificando la legge almeno nei punti di dubbia costituzionalità». Per inciso, quelle «occasioni» sono state più di 10 soltanto nell’ultimo anno e mezzo.

Marzio Breda

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