L’inganno mediatico sui soldi ai partiti

by Sergio Segio | 20 Dicembre 2013 23:00

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Ha annunciato il 13 dicembre in un tweet il presidente del Consiglio, Enrico Letta: “Avevo promesso ad aprile l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti entro l’anno. L’ho confermato mercoledì. Ora in Cdm abbiamo mantenuto la promessa”. E poi, l’ha ribadito lui stesso alle agenzie di stampa e ai giornali.
Non è vero. L’affermazione di Letta è falsa. Introdotto quarant’anni fa dopo lo scandalo dei petroli, bocciato vent’anni fa a stragrande maggioranza da un referendum popolare e poi riesumato dalla partitocrazia sotto forma di rimborsi elettorali, il finanziamento pubblico non è stato ancora abolito con questo decreto legge. Al più, si potrebbe dire semmai che sarà abolito fra tre anni, nel 2017.
Ma, purtroppo, non è soltanto una questione di tempi verbali. L’inganno mediatico sui soldi ai partiti è un’operazione più sofisticata di disinformazione governativa. Nella sostanza, rischia di diventare una nuova beffa ai danni dei cittadini, elettori e contribuenti.Un caso di scuola, per chi si occupa di comunicazione politica; una “truffa”, per il sito economico lavoce.info.
In realtà, sarebbe più corretto dire che cambia il sistema, ma il finanziamento resta e costerà dai 30 ai 60 milioni di euro. Un meccanismo in base a cui i contribuenti possono alimentare fondi da destinare ai partiti attraverso il 2 per mille dell’imposta sul reddito, non può che essere considerato “pubblico” a tutti gli effetti. Tant’è che si prevede anche la possibilità di finanziamenti privati, con una detrazione che sale dal 26 al 37%, scaricando così ulteriori oneri sullo Stato.
Nel concreto, il contribuente avrà tre alternative: destinare il 2 per mille a un partito politico; affidarlo allo Stato o non assegnarlo. Nel caso in cui la scelta non sia stata espressa, il 2 per mille confluirà appunto in un fondo che verrà suddiviso fra i partiti in base ai voti rispettivamente ottenuti. Ma, com’è noto, in questi casi la maggior parte dei contribuenti non indica una destinazione e così “i pochi che scelgono, di fatto scelgono anche per tutti gli altri”.
È falsa pure l’affermazione secondo la quale l’attuale sistema di finanziamento pubblico scomparirà gradualmente nei prossimi tre anni, per cessare nel 2017. In effetti, mentre partirà dal 2014 una riduzione progressiva dei contributi ai partiti (-25% il primo anno, -50% il secondo e -70% il terzo), verrà istituito parallelamente il fondo previsto dal decreto legge a copertura del 2 per mille: la spesa autorizzata è di 7,75 milioni di euro per il 2014, di 9,6 per il 2015 e di 27,7 per il 2016. Poi, dal 2017, si arriverà a un massimo di 45,1 milioni all’anno.
Può anche darsi che alla fine i finanziamenti si riducano rispetto a quelli attuali. Ma, alla luce degli abusi e degli scandali avvenuti in passato, già questo sarà eventualmente un buon risultato.
Quando Renzi sfida Grillo a votare le riforme, in cambio della rinuncia immediata del Pd ai contributi pubblici, commette perciò un doppio errore. Da una parte, propone una sorta di “voto di scambio” inaccettabile. Dall’altra, ammette implicitamente che il finanziamento può essere abolito anche subito, senza attendere il 2017. Ma è dal referendum del ’93 che gli italiani stanno aspettando.

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