Le mosse per cambiare tutto e subito La legge elettorale diventa una mina
MILANO — E’ la versione renziana dello «Stay hungry. Stay foolish» di Steve Jobs: «Restiamo sempre ribelli», dice dal palco il segretario. E lui ci mette del suo per far capire che «non» è «cambiato»: «Sono quello di sempre. Dico quello che penso».
Ma in questa giornata anche le omissioni del leader hanno un loro peso. Non c’è Assemblea o Convegno del Pd in cui il segretario nella sua relazione non dedichi il dovuto omaggio al capo dello Stato. Matteo Renzi non lo ha fatto. Non ha mai nominato nel suo intervento Giorgio Napolitano. Dimenticanza? Scarsa abitudine ai riti della politica? Chissà. Fatto sta che la cosa é stata notata da tutti quelli che temono che il ciclone renziano possa abbattersi sul governo. Formalmente i rapporti con il premier sono ottimi. Baci, abbracci e critiche congiunte ai giornalisti. Però poi quando il segretario sale sul palco dice chiaro e tondo davanti a Letta: «Le sorti dell’Italia sono nelle mani del presidente del Consiglio, del governo, ma soprattutto del Pd: o la partita la giochiamo noi o non la gioca nessuno».
Non è che siano parole tanto diverse da quelle che Renzi pronuncia in privato: «Il governo è nelle nostre mani, quindi è responsabilità nostra fare le cose. O sfruttiamo questi mesi velocemente o rimaniamo impantanati. Tutti devono capire che stavolta si cambia sul serio, che scardiniamo il vecchio mondo. Reagiranno per paura? E noi andremo avanti lo stesso». Tanta determinazione mette in allarme i lettiani, i quali, e anche questo non può essere un caso, sono stati decimati in direzione dai renziani.
Ma non sono solo gli uomini del presidente a interrogarsi sulle reali intenzioni del neo segretario. Che in un solo giorno ha aperto tanti fronti. La legge elettorale, la modifica della Bossi-Fini, la questione delle unioni civili e il lavoro. Già, su questo tema batterà e ribatterà: «Basta ideologia sul lavoro», è il suo motto, con evidente riferimento all’atteggiamento finora assunto dai sindacati. E qui si aprirà un fronte interno al Pd che alla Fiera di Milano sembra unito, e, forse, lo è, ma che inevitabilmente su un tema del genere é destinato a lacerarsi.
Le altre questioni, invece, pongono un problema con gli alleati del Nuovo centrodestra. Perciò Rosy Bindi si chiede con malizia (o forse no) se questo programma dettato da Renzi non rischia di «mettere in pericolo il governo». E Gad Lerner, entrato in Assemblea in quota Cuperlo, con un largo sorriso ironizza così con i colleghi giornalisti: «Se il patto di coalizione si basa su questi punti l’esecutivo dura cinque minuti». Francesco Sanna, autorevole e ascoltato consigliere di Enrico Letta, che ha votato Renzi alle primarie, tenta la mediazione: «Certo, le prospettive sono diverse, ma il governo non deve avere paura di un Pd esigente», dice alla cronista dell’Huffington Post che segue le tribolate vicende del Pd.
Sembra assai meno fiducioso e speranzoso il leader del Nuovo centrodestra Angelino Alfano che dovrebbe vedere Renzi mercoledì e che quasi giornalmente si consulta con il premier per capire dove voglia andare a parare Renzi: «Non è che intende portare subito a casa la riforma elettorale per poi andare a votare?». Lui, il segretario, continua a negarlo: «Dobbiamo portare a casa la legge elettorale il prima possibile perché sennò poi non si fa più e quando sarà si andrà a votare con un sistema degno della peggior prima Repubblica». Renzi è convinto che se incassa in tempi stretti il «sì» della Camera sarà difficile per il Senato insabbiare la pratica come fatto finora: «A quel punto ognuno dovrà prendersi le sue responsabilità davanti al Paese». Ossia «ammettere pubblicamente di non volere il bipolarismo e di puntare a un ritorno al passato». È questa la ragione per cui spinge sull’acceleratore alla Camera. Ma alcuni dei suoi sono pessimisti: «Dato per scontato che Alfano non vuole la riforma visto che teme il voto, perché Grillo dovrebbe aiutarci? Non ne ha nessun motivo, anzi così dimostrerebbe quanto i partiti siano incapaci e farebbe il pienone di voti alle europee».
Certo c’è sempre Berlusconi. Davanti all’Assemblea nazionale del Pd, per ovvi motivi, Renzi non lo ha nominato come possibile interlocutore. Però non lo esclude. Anche su di lui però c’è chi in campo renziano è pessimista. Spiega Enrico Morando, della Commissione di garanzia del Pd: «Ora che vede che i sondaggi gli vanno bene è per il maggioritario, ma appena la Ghisleri gli porta una rilevazione in cui Renzi viene dato in ascesa, sapete che fa? Diventa immediatamente proporzionalista». Anche il segretario sa che «la strada sarà lunga» però è convinto, e non smette mai di ripeterlo, che «chi la dura la vince».
E se ottenesse il suo scopo? «Una volta cambiata la legge elettorale sarebbe difficile spiegare perché non si va alle elezioni», ragiona ad alta voce con un collega di partito Roberto Morassut, che pure non ha certo pulsioni crisaiole. E non le ha nemmeno quell’autorevole esponente del Pd che la settimana scorsa si é informato presso gli uffici legislativi della Camera se fosse possibile votare per le politiche e per le europee nello stesso giorno. La risposta é stata che non c’è nessuna legge che lo vieta.
Maria Teresa Meli
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