Le condizioni di Renzi per la fiducia

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ROMA — Matteo Renzi sa che in questi giorni si sta giocando il tutto per tutto. Per questa ragione ha ingaggiato e vinto il braccio di ferro sul passaggio parlamentare per registrare il programma del governo. «Non si può fare prima dell’8, ma nemmeno il giorno dopo», ha spiegato a tutti i suoi interlocutori il sindaco di Firenze, motivando così questo punto di vista: «Ci vuole un confronto vero, perciò non si può fare prima che sia stato eletto il nuovo segretario del Pd e che il partito di maggioranza non abbia assunto una sua posizione perché le priorità le detteremo noi».
Insomma, Renzi vuole prima avere la legittimazione del popolo delle primarie e poi l’indomani, lunedì 9, alle 21, avrà un incontro con i gruppi parlamentari perché da quel momento «il mio programma sarà il programma del Pd» e questo è bene verificarlo, sebbene il sindaco si dica «sicuro che tutti saranno leali». E lo stesso giorno, alle dodici, nominerà la segreteria «senza trattare con nessuno». In questo modo, spiega, «il Pd sarà pronto per il passaggio di mercoledì e per dettare le sue priorità». E ancora in serata, a Piazzapulita su La7: «Non do ultimatum, ma mi gioco la faccia: il Pd non tentenni o saremo spazzati via».
Il sindaco è determinato ma non vuole aprire le ostilità con il governo. Lo ha fatto sapere, direttamente o tramite ambasciatori, a chi di dovere. Ossia a Giorgio Napolitano e a Enrico Letta. E ha avvisato anche l’attuale segretario Guglielmo Epifani, che infatti, ieri, conversando con alcuni compagni del Pd spiegava: «Matteo non vuole andare alle elezioni: sa anche lui che con il Porcellum il partito non riuscirebbe a vincere in entrambi i rami del Parlamento perché c’è il movimento di Grillo». Non a caso è proprio da lì che il primo cittadino del capoluogo toscano vuole cominciare: dalla legge elettorale. E dall’abolizione del Senato, che, insieme a quella delle Province, servirà anche ad «abbattere i costi della politica», altro cavallo di battaglia di Renzi.
«Basta con le chiacchiere», è il motto del sindaco, che non vuole giocare al tanto peggio tanto meglio, ma non intende nemmeno farsi prendere in giro. Tant’è vero che ai fedelissimi spiega: «O entro due mesi vengono approvate in almeno un ramo del Parlamento la riforma della legge elettorale e l’abolizione del Senato (che sia un’abolizione vera però, non una cosa vaga come quella profilata da Quagliariello), oppure che senso ha andare avanti?». Anche perché finora, secondo il sindaco, il governo ha sbagliato perché «è rimasto inchiodato al tormentone dell’Imu, prima per accontentare Berlusconi, ora perché lo chiede Alfano…». Ma «non può essere questa la strada», per Renzi. Perciò va bene siglare, per dirla come Antonio Funiciello, «un contratto pubblico per un anno con le forze di governo». Sapendo, però, che le cose vanno fatte. E che, come sottolinea Dario Nardella, «il governo Letta è l’ultimo della vecchia fase e non il primo della nuova».
Nel contempo Renzi (che pensa a una vice donna) deve guardarsi dagli avversari interni che puntano tutti a non fargli superare quota 50 per cento, in modo che, per Statuto, debba essere eletto a scrutinio segreto dall’assemblea nazionale del 15 dicembre. In questo modo i nemici del sindaco lo costringerebbero ad accontentarsi di una vittoria dimezzata e a venire a patti con Cuperlo o con Civati per trovare i voti necessari in assemblea. C’è effettivamente questo pericolo? I sondaggi non danno un’affluenza alta alle primarie e Renzi è calato: ora viene dato intorno al 56 per cento.
Maria Teresa Meli


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