by Sergio Segio | 16 Dicembre 2013 7:40
ROMA — Passa dall’Italia lo smantellamento delle armi chimiche siriane: sarà un porto del nostro Paese, con tutta probabilità una base militare, ad ospitare il trasbordo. I contenitori prelevati dalle navi da trasporto nel porto siriano di Latakia saranno trasferiti in acque italiane sull’unità americana Mc Cape Ray, che i giorni scorsi è stata attrezzata per la distruzione («di una parte delle sostanze», dicono i comunicati ufficiali) nella base navale di Norfolk, in Virginia.
Del passaggio in Italia ieri ha parlato anche Zoran Milanovic, primo ministro croato, sostenendo in tv che Zagabria «era pronta a fare la sua parte, ma è stata richiesta in ritardo». Sulla scelta del porto italiano, Milanovic ha detto di non sapere nulla: «l’Italia è un Paese grande». La disponibilità a consentire il «transito» in un porto italiano era stata indicata giovedì scorso da Emma Bonino alle commissioni riunite di Camera e Senato. Il ministro aveva precisato che le sostanze chimiche «non toccheranno» il territorio del nostro Paese. Danimarca e Norvegia forniranno navi da trasporto e unità da guerra per la scorta. I cargo preleveranno a Latakia i “precursori chimici”, che verranno sigillati a bordo. Si tratta di sostanze innocue da sole, fino a quando vengono miscelate per ottenerne i gas. Poi il gruppo navale attraccherà ad un porto italiano per trasferire i contenitori con le sostanze chimiche sul cargo americano Mc Cape Ray, in passato appartenuta a armatori arabi con il nome di “Saudi Makkah”.
Al di là del ruolo italiano, non è chiaro invece “come” verranno distrutte le armi chimiche: tramontata l’ipotesi Albania,
perché Tirana non vuole usare l’inceneritore costruito per distruggere gli armamenti di Enver Hoxha, l’ipotesi di un incenerimento in mare è da scartare, sostiene Greenpeace. Un’operazione del genere presupporrebbe, sostiene l’esperto Roberto Ferrigno, la costruzione di navi ad hoc: «In passato erano state progettate navi-inceneritore, ma oggi la convenzione di Londra le proibisce. Forse ci sono impianti sperimentali, in grado di incenerire ad altissime temperature cento chili, o 500. Ma migliaia di tonnellate? È escluso, tanto più se parliamo di impianti montati su navi. Non ci sono tecnologie per abbattere i fumi: sarebbe necessaria una combustione a ciclo chiuso. Nemmeno gli Stati Uniti hanno mai distrutto le loro armi chimiche: le conservano sotto terra, proprio perché non è stata risolta la questione dell’impatto ambientale».
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