La delusione del Quirinale per le Camere messe in mora

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Ha insistito con richiami alla «responsabilità» e indirizzato anatemi contro le «troppe inconcludenze e sordità» fino a quando, qualche settimana fa, in risposta a un cittadino che lo incitava a dare un mese ai partiti per fare la riforma elettorale o altrimenti di mandare tutti a casa, aveva detto: «Un mese? Fosse per me gli darei gli otto giorni». Insomma la politica non ha saputo, né voluto, «battere un colpo», come sperava lui, prima che arrivasse la pronuncia della Corte costituzionale. E adesso, più che rivendicare i suoi avvertimenti, un deluso Giorgio Napolitano s’interroga sul «marasma» provocato dalla bocciatura.
Non filtrano commenti, dal Colle. Ma è ovvio che anche lassù ci si è chiesti quali potranno essere i collaterali «effetti problematici» di cui ormai discute l’intero Paese e che saranno chiariti dalle motivazioni in base alle quali la Consulta ha stroncato i capisaldi del Porcellum. E si confida che vi sia riassunta una ragionevole via d’uscita, tale da sedare le già scattate nuove fibrillazioni ed evitare che sfocino in una crisi di sistema.
Ieri ci si interrogava sull’idea che la decisione potesse davvero far decadere i deputati e i senatori eletti in febbraio, stroncando immediatamente la legislatura (e non a caso chi invoca le urne sostiene quest’interpretazione, magari senza crederci e dunque per un gioco delle parti). Uno scenario che la gran parte dei costituzionalisti tende a scartare, evocando la probabilità di una «efficacia differita» del pronunciamento, tale da offrire alle Camere un «lasso di tempo» per correre ai ripari. E che la Corte costituzionale ha cercato di escludere in serata, spiegando che «vengono fatti salvi gli effetti di legge per il passato». Altrimenti, lo scenario di un Parlamento «delegittimato perché incostituzionale» avrebbe potuto causare ricadute cariche di incognite. Fino a chiamare in causa lo stesso Napolitano, contro il quale il Movimento 5 Stelle ha azzardato addirittura la tesi di una rielezione parallelamente «illegale».
In ogni caso, la decisione della Consulta tiene in pressione il mondo politico. Di sicuro c’è che il presidente farà di tutto per mettere in sicurezza la legislatura (e il governo) almeno fino alla primavera 2015, in modo da garantire alcuni interventi urgenti per fronteggiare l’emergenza economica e, in particolare, se ci si paralizzerà su altre riforme, almeno la legge elettorale. Ci proverà. Forte di una consapevolezza da ieri evidente: la bocciatura della Consulta è una sconfessione per coloro che hanno frenato sulle riforme giurando di volerle fare, non certo per lui che le ha sempre chieste.


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