La cavalcata (senza paura) di Riga Arriva l’euro nuovo di zecca

by Sergio Segio | 30 Dicembre 2013 9:12

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BRUXELLES — Non c’entrerà nulla, naturalmente, eppure qualcosa c’entra. Valdis Dombrovskis, il presidente della Lettonia che a mezzanotte e venticinque del primo gennaio sfilerà la prima banconota di euro da uno sportello bancomat nel centro di Riga, è un presidente dimissionario. Uno che ha lasciato volontariamente la sua poltrona. Dal 2009, è stato il leader più a lungo in carica; ha salvato per due volte il suo Paese dalla recessione; ora l’ha portato a diventare il diciottesimo Stato del pianeta euro, quello, soprattutto, con la crescita economica più forte negli ultimi due anni e con aspettative altrettanto rosee per i prossimi due: +4,1% del prodotto interno lordo nel 2014 (tanto per capirsi: Germania, +1,7%), +5,2% nel 2015, e un rapporto debito pubblico/Pil poco sopra il 40%. Poi, un mese fa crolla il tetto del Maxima, un centro commerciale di Riga. Muoiono 54 persone, Dombrovskis si dimette. Non ha addebiti giudiziari. Dice però: «Sono politicamente responsabile, e non sono sereno, è una manovra mediatica». Le dimissioni non c’entrano naturalmente nulla con la morte del lats (la valuta lettone in corso finora) e la nascita dell’euro. Ma in qualche modo, dipingono forse un certo spirito nazionale, almeno secondo le leggende: mantener fede alla parola data e assumersi le proprie responsabilità erano due fra i principi proclamati dai Fratelli porta-Spada dell’Ordine Livoniano, i cavalieri crociati germanici che nel 1200 cristianizzarono la Lettonia.
Il legame con il mondo germanico esiste ancora: il nuovo euro della Lettonia verrà infatti sfornato dalla zecca tedesca del Baden Württemberg. Comunque, è stata proprio una promessa mantenuta a conquistare la stima della Commissione Europea. Perché la Lettonia, membro dell’Ue dal 2004, veniva da percorsi davvero tempestosi. Prima di tutto da quelle barricate del 13 gennaio 1991 in piazza della Cattedrale, quando le truppe speciali «Omon» spedite da Mosca sparavano sugli studenti assiepati dietro le barricate (chi scrive c’era e vide: un ragazzo con un giubbotto scuro scrisse «Europa» su un telo bianco e si alzò in piedi, per venir colpito quasi subito). Poi, nel passato della Lettonia, c’è anche una delle voragini finanziarie più paurose d’Europa: nel 2009 il suo deficit pubblico era al 10% del Pil, e il prodotto interno lordo franava del 18%, la seconda banca era appena fallita, a Bruxelles si parlava già di Riga come di Atene.
Da allora, una rimonta quasi frenetica. A colpi di dure stangate modellate negli stampini del Fondo monetario internazionale (Dombrovskis fu spesso detestato per questo, e ancor oggi molti lettoni diffidano dell’euro), ma anche grazie a una riscossa produttiva quasi incredibile, la Lettonia è giunta a limare il suo deficit intorno all’1,5%-1,2% del Pil: ben al di sotto del tetto del 3% fissato dalla Ue, e che sembra così opprimente per altri Paesi, Italia compresa.
Forse, tutto si decise fin dall’inizio, proprio sulle barricate, alla caduta dell’Urss: quando la Lettonia si trovò a scegliere fra la rassegnazione alla Bielorussa e i rischi del tuffo nel neocapitalismo. Un compromesso non era possibile. Riga si ricordò che, come dice un suo vecchio proverbio popolare, «Divus za?us reiz erdams nevienu neno?ersi», «se corri dietro a due lepri non ne prendi neppure una». E puntò sull’ultima lepre, quella più grassa.
Non che l’ultimo figlio dell’euro sia un Paese perfetto: per esempio, la direttrice del principale ospedale di Riga è stata appena cacciata con l’accusa di corruzione. Fatto da prima pagina, finora assai raro da quelle parti. Ma non nell’Eurolandia scintillante dove Riga sta per entrare: là sarà duello fra le lepri grasse e le virtù degli antichi cavalieri crociati.
Luigi Offeddu

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