Il surreale duello che scuote Monte Paschi
In più, tra Natale e Capodanno, sembra che abbia preso il sopravvento un certo fatalismo di chi forse avrebbe potuto intervenire per mettere fine alla lenta decadenza. Da qualche tempo, per la verità, il Monte Paschi ci ha abituato a vicende forse non del tutto sorprendenti per chi conosceva bene le vicende del gruppo, ma certo clamorose. Le cronache dal fronte senese non ci hanno risparmiato nulla: gli intrecci tra credito e politica, le faide che hanno lacerato il Partito democratico (che è da sempre l’azionista di riferimento dell’istituto, tramite la Fondazione e gli enti locali), le crisi drammatiche di liquidità, le inchieste giudiziarie che stanno rendendo evidenti le responsabilità degli ex vertici della banca.
Ma non c’è limite al peggio. E le conferme che arrivano sono quotidiane. La vicenda, sotto certi aspetti, è surreale. Speriamo che non diventi drammatica. La Fondazione, almeno per il momento, è l’azionista di riferimento della banca e, in teoria, ha responsabilità di nomina del management. Il management ha dovuto affrontare situazioni da far tremare i polsi e ha assunto come imperativo categorico il salvataggio del gruppo. Sullo sfondo c’è un convitato di pietra, cioè il governo, che ha finanziato la banca con 4 miliardi dei cosiddetti Monti bond, cioè emissioni obbligazionarie che, sia pure a caro prezzo, cioè dietro pagamenti di interessi elevati, hanno evitato il crac.
La Fondazione è contraria all’aumento di capitale subito perché, come è stato dichiarato ufficialmente, nessuno è disponibile a firmare la propria condanna a morte. Tradotto in altri termini, la proposta di ricapitalizzazione dell’istituto presentata dal presidente Alessandro Profumo e dall’amministratore delegato Fabrizio Viola è tale da confinare la Fondazione al ruolo di azionista marginale, non avendo essa le risorse per sottoscriverlo ed evitare la diluizione della partecipazione (attualmente superiore di poco al 33%). Per questo la richiesta del presidente, Antonella Mansi, è di avere qualche mese di tempo per trovare la soluzione, rimandando l’aumento di capitale.
In effetti è sorprendente che l’azionista di maggioranza si trovi a contrastare le scelte del management di fresca nomina. D’altra parte, aldilà delle responsabilità del vertice attuale anch’esso nominato da poco, la Fondazione senese ne ha combinate più di Bertoldo. Per questo Profumo ha deciso di marciare dritto per la sua strada, senza alcun riguardo per la Mansi, il sindaco di Siena e chicchessia. Il rischio, ha spiegato, è che senza intervenire immediatamente il Monte dei Paschi si trovi ad affrontare il banco di prova delle verifiche europee sull’Asset Quality Review, cioè sulla qualità dei bilanci delle principali banche europee, e gli stress test sulla tenuta degli istituti in caso di crisi del sistema, nel modo peggiore, senza avere le carte in regola. Ecco perché, senza se e senza ma, l’aumento di capitale va fatto. Subito, prima che sia troppo tardi.
Una vera prova di forza contro l’azionista di riferimento. Sotto questo aspetto, ricordano in Fondazione, la memoria va alle vicende di quando Profumo era alla guida di Unicredit e si è ritrovato fuori dalla banca, accusato di volersi costruire un azionariato a suo uso e consumo.
Nell’attesa, lo spettacolo è avvincente, anche perché la Fondazione senese ha chiesto l’intervento al suo fianco degli altri enti maggiori, guidati dal presidente della Fondazione Cariplo e della associazione di categoria, Giuseppe Guzzetti. Va comunque ricordato che ci sono di mezzo, e non va dimenticato, 5 milioni di correntisti, 25 mila dipendenti e le loro famiglie, una moltitudine di piccole e medie aziende finanziate dalla banca. Il Monte dei Paschi, in molte zone del Paese, è una colonna portante. Verrebbe da dire, a Profumo e alla Fondazione senese, parlatevi e trovate un accordo. Ma, evidentemente, la mediazione è risultata impossibile. E ognuno sta tirando la corda che, ormai appare chiaro, è vicina a spezzarsi.
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