IL MANGANELLO DEI GRILLINI

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Più precisamente sul blog di Beppe Grillo ci sarà un giornalista al giorno da lapidare. «Segnalateli » è infatti l’ordine testuale del leader populista: sfogatevi, colpiteli, prendeteli.

Nel blog, con la sua solita prosa malata, scrive «sputtaniamoli » per spiegare il senso della rubrica che ha appena inaugurato e che ha intitolato “Giornalista del giorno”.
Ebbene, nel recente passato uno così caricaturale ed esagerato lo avremmo liquidato con un coro di “scemo scemo” magari davanti a casa sua, sulla spiaggia di Bibbona. Insomma, non lo avremmo preso troppo sul serio. Era stato del resto Dario Fo a spiegarci che le sue sparate, il suo parlare per eccessi, per iperboli, per sberleffi e anche per insulti fegatosi e per minacce era in fondo teatro, opera buffa, metafora, linguaggio smodato e maleducato che qualche volta può anche essere necessario. Per la verità Dario Fo non era convincente, ma in molti pensavamo che gli spasmi biliosi e la patologia ossessiva di Grillo non avrebbero certo contagiato un Paese sano, una democrazia matura e neppure il web che il leader del malumore cerca sempre più di ridurre a un cortile dove, come le lavandaie di una volta, i suoi garzoni sbraitano contro tutti; o come i muri delle latrine dove il primo che arriva scrive le proprie porcherie.
Ma oggi questo strampalato Grillo, che farnetica di assalti e di vendette, sta diventando troppo minaccioso e il suo incitamento all’offesa persecutoria contro i cronisti e gli opinionisti è ormai una forma di teppismo politico. E infatti non è insorto solo Enrico Letta lanciando in un tweet «la solidarietà per Maria Novella Oppo schedata e lapidata verbalmente da Grillo». Questa volta persino il nonno nobile del grillismo, lo stesso Dario Fo, intervistato dal quotidiano “Europa” si è dissociato: «Non mi piace. Non accetto un linguaggio di questo genere». Dario Fo dice pure, attenuando il suo disagio, di conoscere un Grillo «più sottile e ironico» e conclude che forse «non l’ha scritto lui, ma qualcuno che lavora nella comunicazione». E mi ricorda «la colpa è del portavoce», vale a dire il ritornello della più trita tradizione del peggiore politichese. In realtà è lo stesso spurgo che, il mese scorso, spinse la senatrice Paola Taverna a rassicurare i propri adepti con una frase agghiacciante su Berlusconi: «Un giorno di questo gli sputo». E le scuse successive suonarono come un’aggravante. Si giustificò infatti dicendo: fuori parlo così. Significa che c’è qualcosa di peggio dell’orrore che Grillo ha mandato dentro il palazzo della politica; significa che c’è un fuori dove si deposita altro orrore.
Come si vede i tempi sono più propizi alla violenza che alla ragione e il furore sta trasformando gli ex ingenuotti del Movimento 5 stelle in funzionari fanatici. Sembrano gli arditi con il web tra i denti al posto del pugnale. Il loro codice di rapidità e di fuoco diventa sempre più eversivo e , se ci fate caso, orecchia in modo sorprendente il vocabolario marinettiano, quello della guerra in Etiopia. Vediamolo. «La Corte ha i tempi di un gasteropode ». «I giornalisti sono paraculai dei giornalai di regime». È tutto un «pirotrone ». Esplode «lo sterco secco». Zirla «il cuculus canorus». Si propaga «la pippite » tra «i catafalchi». «Il ballista d’acciaio»
metallizza «le scimmie instancabili». E intanto turbinano i «vaffa» e i «siete ominicchi e prendinculo». E sono «illegittimi » il Parlamento, il governo, il Presidente della Repubblica, le elezioni, la Corte Costituzionale, le istituzioni e, prima di tutti, i cronisti che non criticano ma «diffamano», non raccontano ma «servono i partiti» e presto saranno licenziati e dovranno trovarsi un lavoro: «Tutto finirà in una combustione politica spontanea». Ora ditemi se questa non è la digitalizzazione grottesca e caricaturale del futurismo di guerra, ma senza la cultura che pur sempre gli stava dietro: Boccioni, Carra, Severini, Russolo, Slataper e Palazzeschi. Pensate adesso ai balbettii, anzi ai “borborigmi” di Casaleggio, del professore Paolo Becchi, di Vito Crimi e della Lombardi.
Certo anche io sono un giornalista e non mi fa piacere che già domani potrei essere esposto (ancora una volta) alla gogna. Ma è giusto ricordare che gli ultimi elenchi di giornalisti, le ultime schedature di «obiettivi sensibili», le hanno fatte in Italia quelli che poi, dopo qualche anno, aspettarono in via Solferino Walter Tobagi. E, a ritroso, i camorristi che inseguirono la Mehari di Giancarlo Siani e i mafiosi che pedinarono Pippo Fava sino alla sede del teatro stabile di Catania. È vero che Grillo non è ancora terrorista né camorrista né mafioso. Sempre più però il suo codice di violenza, i suoi roghi, le sue scomuniche, i suoi avvertimenti, i suoi manganelli foscamente rimandano alla “sgrammatica” dei terroristi, dei camorristi, dei mafiosi.


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