Il deputato barricato nel Centro: stanze allagate e niente mensa

by Sergio Segio | 23 Dicembre 2013 8:02

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ROMA — «Non mi muoverò da qui finché non sarà trovata una soluzione e i migranti saranno trasferiti. Finché l’Italia non deciderà di adeguarsi ai trattati internazionali e di ripristinare la legalità». Dal Centro di prima accoglienza di Lampedusa, Khalid Chaouki, deputato Pd di origini marocchine, racconta da 24 ore con il telefonino la cronaca di un’occupazione senza precedenti: un parlamentare a fare la vita dei clandestini trattenuti nella struttura di contrada Imbriacola. «Un luogo indegno — racconta Chaouki, 30 anni, giornalista, padre di due bambini — dove sette eritrei, compresa una donna, sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre, sono ancora qui e dove sei siriani, fra i quali l’autore del video mostrato dal Tg2 sul lavaggio antiscabbia, sono da due giorni in sciopero della fame e della sete». La cronaca del deputato è puntuale, inequivocabile: «Piove dai tetti, i pavimenti sono allagati, i bagni non funzionano, non c’è una mensa. Mangiamo panini, a letto o in cortile — twitta a ripetizione, allegando fotografie di quei luoghi —. Non si può restare qui per più di 96 ore invece da anni gli ospiti ci soggiornano per mesi. Ai miei colleghi chiedo: presidiate tutti i centri perché è ora che dalle favole si passi ai fatti».
Il suo atto d’accusa arriva nel giorno delle nuove proteste al Cie di Ponte Galeria, dopo che 10 nordafricani (fra i quali quattro ex detenuti e cinque provenienti proprio da Lampedusa) si sono cuciti la bocca in segno di protesta. C’è il timore che iniziative di questo genere, e perfino rivolte (come è già accaduto in passato), possano coinvolgere strutture simili in altre regioni. A Ponte Galeria i protagonisti della provocazione (un punto cucito sulle labbra) sono guidati dall’imam tunisino Mohamed Rmida, 32 anni, ex recluso a Roma, Civitavecchia e Viterbo. Doveva essere espulso oggi e fra le sue rimostranze c’erano i 160 euro spediti ai familiari l’estate scorsa e mai arrivati. Con lui protestano i tunisini Said Tahari, Abdellah Faouzi Abidi, Mohamed Ben Gi e Rahim Abdel Arami, e i marocchini Khaled Al Mazzouz, Marach Hicham, Karim Majjane e Yassine Chingune. Altri sono in sciopero della fame e delle terapie mediche contro quella che definiscono «una detenzione». Nei mesi scorsi altri «ospiti» avevano inscenato la stessa protesta con la cucitura della bocca. Ci sono state anche sommosse ed evasioni in massa.
Sulla questione immigrazione pende la mozione approvata dalla Camera il 9 dicembre scorso che impegna il governo a compiere una serie di iniziative fra le quali la riforma della disciplina di ingresso, soggiorno, allontanamento e trattenimento degli stranieri, l’abbattimento di costi e tempi di permanenza nei Cie, l’eliminazione del trattenimento in quelle strutture di chi non è stato identificato in carcere. Primi firmatari i deputati Sandra Zampa (vice presidente Pd) e Mario Marazziti (Per l’Italia). «I Cie sono inefficaci e costosi — spiega Zampa —. Un sistema fallimentare, chi non viene identificato nel primo periodo non viene identificato più. Trattenerlo al Cie è una violazione dei diritti umani e uno spreco di risorse. È assurdo, tutto quello che un tempo era politica per l’immigrazione è diventata politica di sicurezza». Per Marazziti invece «siamo oltre la soglia di tolleranza, il Parlamento ha fatto tutto quello che poteva. Ho chiesto una commissione d’inchiesta della Camera su Cie, Cara e Centri di prima accoglienza: serve un gesto chiaro del governo prima di Natale. Così è una vergogna». Ma per il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni «per affrontare l’emergenza non occorrono provvedimenti straordinari, basta solo applicare le norme e portare a regime progetti che già esistono».
Rinaldo Frignani

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