IL CORAGGIO DELLA DIETA
Come non si sa quanto possa aver pesato la scelta di Berlusconi e Grillo di cavalcare il ribellismo dei Forconi. Movimento ancora informe ma infettato, tra tante persone esasperate e perbene, da infami rutti contro i «banchieri ebrei» e insensati peana a favore dell’ungherese Viktor Orbán, l’anima bruna dell’Europa autoritaria post comunista.
Ma ciò che non era riuscito al referendum sull’abolizione del finanziamento pubblico passato nel ’93 con il 90,3% dei voti né alle varie ondate di indignazione contro la crescita abnorme dei soldi ai partiti (+1.110%) nel primo decennio del secolo segnato in parallelo dal ristagno e dall’impoverimento degli italiani pare essere riuscito al peperoncino della concorrenza. Dentro la sinistra, d e n t ro l a d e s t r a , d e n t ro l’opposizione a tutto e tutti.
È come si fosse aperta una gara a chi mostra d’avere una più forte e impaziente spinta riformatrice. Al punto di scavalcare per virtù dichiarata, nell’ansia di far perdonare alla politica la bulimia di questi anni, il resto d’Europa. Dove, come ricordano Piero Ignazi, Eugenio Pizzimenti e altri, solo la Svizzera non prevede alcuna forma di finanziamento.
Estremismi all’italiana: dalle abbuffate trimalcioniche alla dieta totale.
Dicono i grillini, i quali nei giorni scorsi sono riusciti a far passare un emendamento piccolo ma saggio perché consente di disdettare in 30 giorni una serie di esosi contratti d’affitto (11 sedi per il Senato, 20 per la presidenza del Consiglio, 21 per la Camera: assurdo) che il decreto voluto da Letta per tagliare corto con le meline parlamentari, è solo l’annuncio d’un progressivo esaurimento dei rimborsi che si compirà fra quattro anni. Vero. E mai come oggi i cittadini devono tenere gli occhi aperti su eventuali ritocchi, ripensamenti, giochini. Sarebbe ingeneroso, però, dire che non rappresenti un passo avanti. Sul piano dei risparmi ma più ancora sulla trasparenza. Non solo dei bilanci dei partiti, la cui pubblicazione online diventa finalmente tassativa: è prevista la diffusione sul web anche degli elenchi di persone e società che finanziano la politica. Bene. E bene le misure che potrebbero spingere alla fine dei partiti personali, le sanzioni in denaro per chi viola la parità uomo-donna, l’obbligo di indicare negli statuti di ciascuna forza politica la cadenza delle assemblee dove sottoporre le leadership alla verifica democratica.
Certo, che una donazione di 70 mila euro a una onlus possa avere uno sconto fiscale di 537 euro e a un partito di 18.200 (34 volte di più) è una disparità ardua da capire. Che continuerà a caricare sulle casse pubbliche una parte significativa dei costi. Per non dire degli altri capitoli meno vistosi del finanziamento, come i contributi ai gruppi parlamentari e alla stampa di partito: neanche sfiorati.
Staremo a vedere.
Una svolta radicale, del resto, è nell’interesse dei partiti stessi. Troppi denari pubblici, garantiti sempre e comunque, avevano reso quasi superfluo il rapporto con gli elettori. Creando un distacco inaccettabile. Essere obbligati a raccogliere euro su euro li costringerà a parlare, discutere, convincere uno ad uno i cittadini.
E, finalmente, ad ascoltare ciò che hanno da dire.
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