I tempi stretti del Paese e il patto politico che manca tra premier e sindaco
Questo è un governo che in poco tempo ha superato prove difficilissime nel Palazzo, ma ha poco tempo per superare la prova nel Paese. L’accordo per rilanciarsi nel 2014 c’è, così assicura Letta, ma il patto politico con Renzi non è ancora cementato dalla fiducia reciproca tra il premier e il segretario del Pd. Sopravvissuto all’espulsione dal Parlamento di Berlusconi, al declino di Monti, alla sconfitta di Bersani, l’esecutivo rischia di non riuscire a gestire l’avvento del nuovo leader democratico, sebbene il vice premier Alfano confidi che «superati i reciproci sospetti, avremo tutti l’interesse a raggiungere tra gennaio e maggio dei risultati sul fronte delle riforme e dell’economia» per «capitalizzarli» alle Europee con un «bilancio positivo».
Il punto è che quei «reciproci sospetti» non si sono ancora dissolti, che tutto ruota attorno alla nuova legge elettorale. L’impegno già assunto nella maggioranza, e condiviso da Renzi, per ora è circoscritto al timing parlamentare sulla riforma: il voto della Camera è previsto entro marzo, quello del Senato entro maggio, comunque prima delle elezioni per l’Europarlamento. L’intesa escluderebbe quindi l’eventualità delle elezioni anticipate in primavera, ma l’incognita sul tipo di riforma elettorale da adottare alimenta l’incertezza.
È vero che Renzi è disposto a procedere seguendo lo schema dell’accordo preventivo in maggioranza, come ipotizzano a palazzo Chigi, oppure — come teme il ministro Mauro — «tra il segretario del Pd e Berlusconi c’è più complicità di quanto si possa immaginare»? È una domanda in cerca di risposta, e sarà lo stesso capo dei democrat a darla quando nella prima decade di gennaio dovrà presentare uno schema di modello elettorale su cui costruire il compromesso in Parlamento. Letta lo attende alla prova, «è una questione di correttezza» dice, prefigurando due diversi scenari di qui in avanti: «Se Matteo starà ai patti, la strada in futuro sarà la sua. Altrimenti…».
Altrimenti si andrebbe allo scontro e alla conta. Il bivio si sta per approssimare sulla sfida delle sfide, la riforma del Porcellum, e lega le mosse del leader democrat nella Capitale a quelle del suo partito sul territorio, là dove gli sconfitti cercano una rivincita con le primarie per i segretari regionali, che Renzi infatti vorrebbe si svolgessero a febbraio e non a marzo temendo l’organizzazione della resistenza interna. Così si torna alla domanda iniziale: il sindaco di Firenze potrà permettersi una forzatura nella maggioranza sulla legge elettorale, senza mettere a rischio la tenuta del suo partito? E se muovesse per altre vie, se — come andreottianamente pensa il ministro D’Alia — «saranno altri, magari quelli di Scelta civica a fare il lavoro sporco per lui»?
Ecco il clima di «reciproci sospetti». Tutto si intreccia e tutto accadrà in fretta. Con l’anno nuovo il governo sarà chiamato a verificare la tenuta della coalizione insieme alla sua capacità di rilanciarsi, «resettando anche gli errori commessi in questi mesi», come ammette il ministro Lupi quando evoca un «nuovo inizio»: «Dobbiamo recuperare credibilità, non c’è dubbio». La figuraccia sul decreto salva Roma ha lasciato il segno nelle istituzioni e nei partiti. Con Napolitano che ha bacchettato l’esecutivo e i presidenti delle Camere, con i presidenti delle Camere che hanno giocato a scaricabarile puntando l’indice sui partiti, con i partiti che hanno (di nuovo) preso di mira il Quirinale. Perché se i Cinquestelle e Forza Italia lo hanno fatto in modo evidente, non è sfuggito il modo a dir poco tiepido in cui il nuovo corso del Pd ha difeso il Colle.
La nuova prova nel Palazzo è il preannuncio della prova che attende il governo nel Paese. Un test se possibile ancor più difficile, perché in pochi mesi si è alienato i favori che aveva conquistato ancora in ottobre, quando sopravvisse allo strappo di Berlusconi. L’atteggiamento di Confindustria è il segno più eloquente. Il vicepremier Alfano ritiene che l’atteggiamento degli imprenditori sia stato dettato dalla necessità di «mandare un segnale» ai propri associati in questo tempo di crisi: “Ma se vareremo la riforma del mercato del lavoro e riusciremo nel processo di sburocratizzazione del sistema — dice il leader del Nuovo centrodestra — sapremo conquistarli nei fatti non con le parole. Noi affidiamo la nostra battaglia al contratto per l’Italia del 2014».
Lo schema di intesa a Palazzo Chigi è già pronto per il quadrimestre tra gennaio e maggio, preludio del test per le Europee, sperando che lo spread nel frattempo scenda sotto quota 200, così da garantire un tesoretto da investire nella crescita. Ma se dalle urne dovesse venire un voto di sfiducia al governo, in molti nella maggioranza ritengono che Renzi cercherebbe di anticipare le Politiche in autunno, perciò la questione del rimpasto appare secondaria, nonostante covi il malcontento verso il titolare dell’Economia e le battute sui suoi predecessori in Consiglio dei ministri si sprechino: «Aridatece Tremonti…». Sarà, ma per dirla con il titolare della Difesa, «la vera domanda è: con chi sostituire Saccomanni?».
Francesco Verderami
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