I comandamenti del Colle

by Sergio Segio | 28 Dicembre 2013 9:25

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Una let­tera, una sfilza di rac­co­man­da­zioni di tanto evi­denti quanto evi­den­te­mente non rispet­tate, all’indirizzo dei pre­si­denti di camera e senato e di quello del con­si­glio. Così Gior­gio Napo­li­tano ieri ha ’for­ma­liz­zato’ il con­te­nuto della tele­fo­nata della vigi­lia di Natale, dall’altro capo c’era Letta, con cui ha fer­mato il decreto Salva-Roma o, meglio, quel pastic­ciac­cio omni­bus che era ormai diven­tato dopo la mezza appro­va­zione con voto di fidu­cia da parte del senato.

La tele­fo­nata era un gesto infor­male, troppo, per stop­pare un prov­ve­di­mento quasi giunto a desti­na­zione. Il monito del Colle è invece un gesto for­male. Ieri la pre­si­dente Bol­drini l’ha letto a Mon­te­ci­to­rio, oggi toc­cherà a Grasso, a palazzo Madama. Ma è un mes­sag­gio avvi­lente per chi lo riceve, o dovrebbe esserlo. I rilievi che il capo dello stato muove non sono nuovi e dimo­strano con ogni evi­denza che quella «svolta gene­ra­zio­nale» che Enrico Letta tre giorni fa riven­di­cava per il pro­prio governo non cor­ri­sponde affatto a una svolta nelle prassi e nelle pes­sime abi­tu­dini degli ese­cu­tivi, delle mag­gio­ranze e delle forze poli­ti­che che le com­pon­gono. Tutt’altro.

Al decreto ori­gi­na­rio varato il 31 otto­bre, scrive il pre­si­dente della Repub­blica, sono stati aggiunti «10 arti­coli, per com­ples­sivi 90 commi» che «mi indu­cono a ripro­porre alla vostra atten­zione la neces­sità di veri­fi­care con il mas­simo rigore l’ammissibilità degli emen­da­menti». Napo­li­tano cita l’ appello del pre­de­ces­sore Ciampi sulla «neces­sità di rispet­tare i prin­cipi rela­tivi alle carat­te­ri­sti­che e ai con­te­nuti dei prov­ve­di­menti di urgenza sta­bi­liti dall’art. 77 della Costi­tu­zione e dalla legge di attua­zione costi­tu­zio­nale n. 400 del 1988», prin­cipi riba­diti «in diverse pro­nunce della Corte Costi­tu­zio­nale» e in par­ti­co­lare la sen­tenza 22 del 2012 dove la Corte ha osser­vato che «l’inserimento di norme ete­ro­ge­nee rispetto all’oggetto o alle fina­lità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valu­ta­zione fatta dal governo dell’urgenza del prov­ve­dere e i prov­ve­di­menti prov­vi­sori con forza di legge».

Napo­li­tano ricorda di aver già inviato a sua volta alle camere una let­tera nella quale avver­tiva «che di fronte all’abnormità dell’esito del pro­ce­di­mento di con­ver­sione non avrei più potuto rinun­ciare ad avva­lermi della facoltà di rin­vio». Era il feb­braio 2012, governo Monti. In quell’occasione aveva spie­gato che, nel caso era pos­si­bile «una par­ziale rei­te­ra­zione che tenesse conto dei motivi posti alla base della richie­sta di rie­same. La stessa Corte Costi­tu­zio­nale, del resto, fin dalla sen­tenza n. 360 del 1996, ha posto come limite al divieto di rei­te­ra­zione la indi­vi­dua­zione di nuovi motivi di neces­sità ed urgenza». Quindi, è il mes­sag­gio che arriva men­tre Letta riu­ni­sce i mini­stri per varare il Mil­le­pro­ro­ghe, i prov­ve­di­menti riscri­vi­bili in decreto sono solo quelli che hanno una ragione «di neces­sità e urgenza».

Il Colle bac­chetta i pre­si­denti, il governo, le forze poli­ti­che. Con ogni pro­ba­bi­lità tor­nerà a farlo nel mes­sag­gio di Capo­danno, così come ha fatto nell’aprile scorso, al momento della sua rie­le­zione. Dai palazzi va in scena un pie­toso sca­ri­ca­ba­rile sulle respon­sa­bi­lità dell’ultimo pastic­cio. Impu­tato número uno il pre­si­dente Grasso che al senato non avrebbe vigi­lato sugli emen­da­menti. Dal Pd fil­tra il malu­more di Renzi e dei suoi, e l’ideona di costi­tuire un «comi­tato di con­trollo» di par­la­men­tari che vigi­lino sui prov­ve­di­menti. «Dav­vero abbiamo biso­gno di essere con­trol­lati?», replica dal blog Pippo Civati. «Arriva il Mil­le­pro­ro­ghe e si sca­tena la movida tra lob­bi­sti e fur­betti dell’emendamentino. Dav­vero è così dif­fi­cile evi­tare di pre­sen­tare emen­da­menti che fac­ciano cre­scere la spesa pub­blica, per inter­venti non urgenti né necessari?».

È un’accusa chiara anche ai suoi. Per­ché se fin qui un’ala dei par­la­men­tari dem — i ren­ziani — stava comin­ciando a far fil­trare l’insofferenza verso il diri­gi­smo di Napo­li­tano, la vicenda di oggi rende evi­dente che sono molti par­la­men­tari ad aver biso­gno del con­trol­lore Napo­li­tano, ormai inca­paci di eser­ci­tare il loro ruolo secondo le norme, per non par­lare delle esi­genze di un paese in ginoc­chio. È evi­dente anche che cia­scun attore della com­pa­gnia — pre­si­denti, mini­stri, par­titi — porta la respon­sa­bi­lità della tri­ste com­me­dia di prov­ve­di­menti con pezze a colori che tra­sfor­mano finan­zia­menti e diritti in rega­lie spar­ti­to­rie. E non c’è rego­la­mento che con­tenga — il Colle sug­ge­ri­sce modi­fi­che, Letta le pro­mette — la tra­sfor­ma­zione dei par­titi in lobby all’assalto dell’ultima dili­genza che passa. E del governo in un ese­cu­tivo che non può essere con­trad­detto, pena — pre­sunta — il crollo di tutta la fra­gile impal­ca­tura della cosid­detta «sta­bi­lità» ita­liana. Da Forza Ita­lia, oggi all’opposizione, arriva un pezzo della verità: Napo­li­tano, dice Daniela San­tan­ché, «sem­pli­fi­cando le pro­ce­dure, cerca di rende sem­plice e age­vole la vita per il governo».

Lo spet­ta­colo delle forze poli­ti­che che si pre­pa­ra­vano all’approvazione defi­ni­tiva del pastic­cio e che ora invece plau­dono a Napo­li­tano aggiunge una nota di assurdo alla pièce. «Monito sacro­santo», per l’alfaniano Mau­ri­zio Sac­coni. «Richiamo da con­di­vi­dere dalla prima all’ultima parola», dice il pre­si­dente dei sena­tori Pd Luigi Zanda. Ma negli ste­no­gra­fici d’aula, dove pure si rin­trac­cia la bat­ta­glia per sal­vare i prov­ve­di­menti irri­nun­cia­bili, non si rin­trac­cia il vibrante dis­senso con cui il gruppo dem di palazzo Madama si è pie­gato a dare il suo sì all’arlecchinata stop­pata dal Colle.

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