Generazione no sex

by Sergio Segio | 16 Dicembre 2013 7:25

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Hanno diciotto anni, e il loro cielo è in una stanza chiusa. Amicizie, amore, piacere, è tutto lì. E non c’è bisogno di un corpo vero e fisico da accarezzare, toccare, sentire, di qualcuno da guardare negli occhi: il sesso per loro è solitario, viaggia nella rete, colloquia con sconosciuti, si nutre di emozioni estreme. Così totalizzante che può accadere, anzi accade, che non pochi ragazzi abituati a frequentare i siti hard fin da giovanissimi, comincino poi a disinteressarsi al sesso vero, quello vissuto, quello che implica la relazione, il contatto, e magari, chissà, l’innamoramento. Come se la realtà fosse poi assai meno eccitante della finzione. I medici li definiscono «ipoattivi» sessuali, diciottenni, ventenni che confessano di non provare alcun desiderio della fisicità concreta con una o un partner, ma di sentirsi appagati dal piacere solitario del cyber sex. Ossia del gioco erotico consumato tra le ombre della propria stanza.
Hikikomori del sentimento, in Giappone i ragazzi così sono migliaia, e li chiamano «erbivori». Ma il fenomeno è contagioso, globale. Ed è quanto emerge a sorpresa dai dati della Società italiana di andrologia diretta dal professor Carlo Foresta.

È un sondaggio su oltre settemila studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori di Padova, uno screening a tappeto sulla salute e le abitudini sessuali dei giovanissimi italiani. La sorpresa è che nell’età in cui il desiderio dovrebbe essere all’apice, e così la curiosità e la voglia di scoprire l’eros e i suoi misteri, una fascia di maschi (il 12% degli intervistati) affermi invece di essere così abituato ad avere rapporti virtuali da non desiderare più quelli reali. C’è di che stupirsi. È come assistere ad una specie di incubo digitale a guardarlo da fuori. Eppure la tendenza è reale. Ancor più se si pensa, come aggiunge Carlo Foresta, grande esperto di sterilità maschile, che dieci anni fa, nel 2003, «rispondendo a questo stesso questionario, il numero degli anoressici sessuali si fermava all’1,2% degli intervistati…».
Che cosa è successo in questi 10 anni? Foresta allarga le braccia: «È caduto il senso del mistero. Fin da adolescenti i ragazzi vengono a contatto con ogni tipo di sessualità esplicita attraverso i siti pornografici su internet. Una valanga di immagini crude, dirette, che li stordiscono e alterano per sempre le loro emozioni. E se per molti — per fortuna — questo resta a livello di gioco, per altri invece diventa un’abitudine, una dipendenza addirittura, che li porta poi a disinteressarsi del sesso reale». Ampliando quel desiderio di isolamento tecnologico che è già una patologia del mondo giovanile contemporaneo. E di cui i
famosi hikikomori giapponesi, gli adolescenti autoreclusi del Sol Levante, sono la manifestazione più eclatante. «Ma il rifugio nella relazione virtuale, quella che nasconde il corpo e il contatto, è il primo gradino della sindrome di chi decide di non uscire più dalla propria stanza, e di cui soffrono in Italia già oltre centomila giovani», avverte Antonio Piotti, psicoterapeuta e autore di un libro fondamentale sugli hikikomori di casa nostra, «Il banco vuoto. Diario di un adolescente in estrema reclusione», edito da Franco Angeli nel 2012.
Si legge nella ricerca sui settemila studenti intervistati: «L’abitudine alla frequentazione di siti web pornografici ha una rilevante influenza sul desiderio sessuale dei giovani italiani, e nel 25% dei frequentatori ha determinato comportamenti sessuali giudicati negativi». Sono gli stessi ragazzi ad accorgersi che qualcosa non va, a confessare (nel 3% dei casi) la propria dipendenza, mentre oltre il 50% dichiara di soffrire di eiaculazione precoce. «Naturalmente — aggiunge Carlo Foresta — non c’è nessun giudizio morale, ma è evidente che questa generazione, cresciuta con l’accesso incondizionato al sesso esplicito del web, comincia a manifestare seri problemi sia fisici che di relazione». Francesco oggi ha 21 anni, non ha ancora una fidanzata, ma finalmente qualche “avventura”. Racconta di aver chiuso la porta della sua stanza quando all’improvviso i genitori si sono separati. «Il web è diventato il mio mondo, lì non soffrivo, lì potevo amare, godere, trovare amici, c’erano donne pazzesche con cui fare sesso, certo c’era lo schermo di mezzo… Non mi importava, era come poter attingere a una eccitazione continua… Non uscivo più, non mi curavo, non dormivo: ho avuto un collasso nervoso, mi hanno ricoverato in una clinica. È stata la mia salvezza. Sono tornato a vivere con gli altri».
Per fortuna il numero dei «disinteressati » al sesso reale è ancora piccolo. E magari, chissà, un bel giorno il desiderio dell’altra o dell’altro potrebbe diventare così forte da spingerli ad aprire la porta della loro stanza. Però qualcosa è cambiato e Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra in prima linea nella comprensione di bambini e ragazzi, invita gli adulti a guardare la realtà. Senza girare la testa dall’altra parte pensando che «magari passerà». «Noi assistiamo oggi ad un cambiamento epocale nel sistema delle relazioni sentimentali tra i giovani, che sono passati dall’amore romantico all’amore narcisistico. Ossia un tipo di amore dove ognuno cerca il soddisfacimento di sé, anche in coppia. Ma soprattutto per loro non esiste barriera tra reale e virtuale: siamo noi adulti che pensiamo al web come ad un mondo di ombre contrapposto al mondo fisico… ». Un metalinguaggio insomma quasi incomprensibile a
chi ha più di vent’anni.
Gli amori 2.0 possono nascere sul computer e proseguire nella realtà, o iniziare sul muretto della scuola e finire con un sms. «Ogni rivoluzione — dice Charmet — pone i suoi interrogativi, e questa è una rivoluzione sessuale. Del resto il web è uno spazio libero, dove ci si mostra senza barriere, anche i timidi o i brutti si sentono parte del gioco, per questo è considerato più eccitante. C’è poi una frangia estrema di ragazzi che a furia di addestrarsi in questo erotismo solitario, senza corpo, se non il proprio, finisce per non riuscire più a vivere una sessualità con un soggetto vero».
Ma il fenomeno è, appunto, globale. E se in Giappone, la sindrome da «alienazione del rapporto carnale», riguarda ormai il 35% dei giovani tra i 16 e i 19 anni, che alle loro amiche e compagne preferiscono cybersex o bambole gonfiabili, anche in Inghilterra il virtual sex è ormai considerato un’emergenza. Con una grande inchiesta dal titolo “Sai dove naviga tuo figlio”, il Guardian ha lanciato una campagna per invitare i genitori a controllare i propri figli vittime di sexting, adescamenti, o pericolosamente assuefatti all’amore online. E sempre in Inghilterra è partita una campagna contro i video musicali troppo espliciti (vedi Miley Cyrus), che turberebbero troppo i più giovani utenti di Mtv.
Per Emilio Arisi, ginecologo della Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia) la corsa a rifugiarsi tra le ombre della sessualità virtuale da parte dei maschi, potrebbe dipendere in parte dalla «asimmetria» di maturità tra ragazzi e ragazze nella post adolescenza, oggi più decisa che mai. «I maschi sono spaventati: a 18 anni il desiderio è fortissimo, ma spesso le coetanee non sono disponibili, ci sono falsi miti di potenza e virilità. Accanto a questo c’è l’universo di internet dove tutto sembra possibile, sembra una via di fuga, soprattutto per i più fragili, i meno sicuri. Invece accade che alla fine sia la pornografia virtuale a prendere il posto dei rapporti concreti con una partner».
Nel suo racconto-saggio su Enrico, un giovane che sceglie l’autoreclusione nella propria stanza, Antonio Piotti descrive i passaggi e le fasi che via via portano un adolescente a spezzare i legami con il mondo esterno. «Questo ricorso così massiccio alla sessualità online è la spia di quanto anche tra i ragazzi italiani il rischio dell’autoreclusione sia presente. È come se ci fossero due emisferi: una parte dei giovani guardando i siti hard si “istruisce”, è come se praticasse un’iniziazione, per poi approdare alla relazione fisica, vera. E questo riguarda anche le ragazze. Altri invece si isolano, nella sessualità come in tutto il resto, ciò che conta è il piacere per sé, l’altro o l’altra non contano. E giorno dopo giorno si diventa autosufficienti tra le quattro mura della propria stanza. Il fuori diventa solo virtuale. Autoreclusi appunto».

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