Fra gli orfani di Mandela “Costruiremo il Sudafrica che aveva sognato per noi”

by Sergio Segio | 8 Dicembre 2013 8:59

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JOHANNESBURG — Sono il Sudafrica che aveva sognato, queste migliaia di persone assiepate sulla Quarta avenue di Houghton, davanti al muro di cinta della sua casa: neri e indiani, bianchi, ricchi suoi vicini di quartiere e anziane nonne contadine venute apposta dalla campagna con i nipotini. Un miscuglio di colori, religioni, culture, origini vicinissime e lontane – europee, asiatiche, mediorientali – che fanno del Sudafrica l’immagine di quello che sta diventando il mondo intero e inducono a sperare che, se continuerà a funzionare qui, potrà davvero funzionare ovunque altrove.
Un altro muro sta sorgendo davanti a quello in muratura, un muro di fiori, biglietti, messaggi di commiato, candeline, ritratti di “Tata Mandela”, papà Mandela, disegnati da artisti, scolaresche, incerte mani di bambini. «Grazie Madiba», «Riposa in pace», «Hamba Kahle.
Addio, compagno», «Per sempre nei nostri cuori». Il silenzio dell’agonia è finito e adesso anche qui, davanti all’edificio che racchiuderà ancora per qualche ora il corpo senza vita di Nelson Mandela, c’è brusio, canti, un clima quasi di gioia di ritrovarsi insieme. Non c’è infatti atmosfera di lutto, non più le lacrime che si erano viste nelle prime ore dopo che il presidente Zuma aveva dato la notizia della morte, e ancora il giorno dopo. In stridente contrasto con i toni che s’impongono all’ufficialità governativa, nella strada i volti rivelano piuttosto la contentezza di essere qui, vicini a Madiba, uniti nel suo nome, a «rendere omaggio» come dice una biondissima mamma stringendosi i figli in età prescolare.
Qualcuno lecca un gelato, tutti sfoderano il cellulare per fare un foto, un gruppo intona Shosholoza, il canto dei minatori migranti reso universalmente noto dal film Invictus.
Le persone si assiepano, si stringono, si abbracciano, si tengono per mano. È come se fossero venuti a dirgli che il suo Sudafrica vive e gli sopravviverà, che la sua eredità spirituale verrà raccolta dalle generazioni e il seme della tolleranza, della convivenza, della riconciliazione continuerà a fruttificare. E anche a rassicurare se stessi che così sarà e loro non si lasceranno avvincere dai seminatori di zizzania né travolgere dalle divisioni intestine.
Ancora una volta è stato Desmond Tutu, l’anziano arcivescovo grandissimo amico del leader scomparso, con una di quelle frasi meravigliose di cui egli solo ha il segreto, a riassumere lo spirito del momento: «In definitiva, voleva che il monumento alla sua memoria fossimo noi sudafricani». Gli uomini e le donne stipati all’angolo tra la Quarta strada e la Dodicesima avenue ci stanno già provando.
«Soffriamo», dice l’anziana contadina venuta dall’Orange Free State, «ma la nostra vita oggi è migliore grazie a lui e i miei nipoti, qui, hanno davanti un futuro ». «Nessuno sapeva guardare lontano come lui, è questo che ne ha fatto un leader inimitabile», afferma un distinto signore indiano. Oltre l’incrocio, fermo sul cancello della sua lussuosa residenza, il dottor Mohamed, medico al vicino ospedale, racconta volentieri di quando Mandela, allora presidente, attraversò la strada e suonò il campanello, chiedendo di entrare a fargli visita «e si mise a parlare con mia moglie di ricette e del modo migliore di infornare i biscotti ». «Averlo potuto incontrare per me è stata una benedizione», conclude il dottore.
Ai bordi della via venditrici ambulanti hanno sistemato sull’erba una mercanzia studiata per la circostanza, ritratti, spille da fissare sul bavero della giacca, stoffe stampate con l’effigie di Madiba, il tutto nei colori nero verde e oro dell’African National Congress, il partito che fu di Mandela e governa il Paese da vent’anni. Gli affari vanno molto bene, dice una di loro. L’Anc rivendica legittimamente l’appartenenza di Madiba ai suoi ranghi ed è, insieme al governo e alla famiglia, uno dei tre grandi organizzatori delle cerimonie funebri. Al tempo stesso tuttavia traspare l’intento di usare politicamente il mito di Mandela per dare lustro a un’organizzazione che l’esercizio del potere ha pesantemente compromesso.
E mentre le reti della tv di Stato trasmettono quasi in permanenza biopics sulla vita del “Padre della nazione”, dibattiti sul suo lascito politico e spezzoni di suoi discorsi, il governo prepara la settimana di celebrazioni e lutto nazionale che si concluderà domenica 15 con la sepoltura di Mandela a Qunu, il villaggio della sua infanzia. L’impressione che ha dato ieri il ministro alla Presidenza Collins Chabane parlando con i giornalisti è che le cose stiano ancora molto indietro. Martedì ci sarà la commemorazione ufficiale allo FNB Stadium di Soweto, alla presenza dei capi di Stato e di governo venuti da tutto il mondo, tra i quali il presidente del consiglio italiano Enrico Letta.
Poi tre giorni di camera ardente agli Union Buildings di Pretoria, fino a venerdì. Sabato il trasferimento aereo della salma nell’Eastern Cape e l’indomani i funerali. Questo il programma: ma sui dettagli ci sono ben poche informazioni. Non si conoscono ancora gli orari, le modalità previste per contenere una folla che si preannuncia oceanica, le dimensioni dell’apparato di sicurezza che dovrà gestire l’affluenza di dignitari e notabili dai quattro punti cardinali, a cominciare dal presidente americano Barack Obama. Si sa tuttavia che le Forze armate sono tutte mobilitate, sospese vacanze, licenze, turni di riposo, compreso il richiamo di molti riservisti. Ed è trapelato che al corpo diplomatico, la ministra degli Esteri ha vivamente sconsigliato la presenza dei capi di Stato ai funerali. Impedire di partecipare a delle esequie è una cosa inconcepibile, avrebbe detto, ma a Qunu saremo in grado di garantire ben poco, per cui sarà molto meglio che i vostri leader presenzino alla commemorazione di martedì, rendano omaggio alla salma l’indomani e poi partano. E in effetti la gestione della presenza di migliaia di invitati e giornalisti in un borgo rurale del profondo Sudafrica si presenta come un incubo per la logistica e la sicurezza.
Il Paese si appresta comunque a dare un grande spettacolo della propria partecipazione e unità. Nei tre giorni della camera ardente la salma verrà trasportata ogni mattina in corteo da una base militare presso Pretoria al palazzo della Presidenza e riportata indietro alla sera. La popolazione è invitata ad assieparsi ai lati della strada e così sicuramente accadrà. L’affluenza al grande stadio di Soweto martedì fa seriamente temere il rischio di un sovraffollamento assai difficile da gestire. Le autorità si vantano delle passate esperienze, manifestazioni colossali, vertici internazionali, eventi come i Mondiali di calcio, tutti andati a buon fine. Ma quello che sta per accadere non ha precedenti. Sarà, in tutti i sensi, una settimana di passione. Domani intanto giornata di raccoglimento e di preghiera in tutte le chiese del Sudafrica.

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