Il toto-ministri è già partito

by Sergio Segio | 29 Dicembre 2013 9:13

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 NON è all’ordine del giorno, come ha detto il premier nella conferenza di fine anno, ma può diventare un argomento delle prossime settimane.
Il presidente del Consiglio ha anche l’esigenza di tenere unita la squadra, senza demotivare nessuno, cosa che succederebbe sicuramente se qualche ministro vedesse un sostituto che si scalda a bordo campo. Sa che la sua prudenza è condivisa da Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato si augura una partita giocata a carte scoperte. Solo in questo caso, sulla base di accordi di programma precisi e blindati, potrà avallare cambi nella squadra di governo. Al netto di un cammino coi piedi di piombo, a Palazzo Chigi però stanno valutando l’opportunità di qualche aggiustamento. I contro: il rischio di aprire un dossier impossibile da richiudere per i veti incrociati e gli appetiti famelici. E i pro: un esecutivo rafforzato, che dia al Partito democratico la chance di affrontare al meglio le elezioni europee del 25 maggio. Rassicurando così Matteo Renzi. «Un punto di partenza, non di arrivo. Per fare meglio nel 2014», dice un ministro. «Il rimpasto non mi appassiona — aveva spiegato il segretario del Pd a Letta nell’incontro dopo la vittoria alle primarie — . Si può fare se è funzionale a cambiare registro. Perché io non faccio sto casino per sostituire un ministro. Qui va cambiata l’Italia».
In quest’ottica ne hanno ragionato insieme, prima del week end, Letta e Dario Franceschini. Escludendo in maniera assoluta «un Letta bis». Ossia la strada delle dimissioni e del reincarico, con una squadra rinnovata di ministri. Pensando semmai a qualche, minima, sostituzione mirata. Con strumenti ancora da individuare visto che i ministri coinvolti dovrebbero dimettersi. E con il solito aiuto del Quirinale, naturalmente. Il ministro degli Affari regionali Graziano Delrio, renziano della prima ora, definisce così l’atteggiamento di Letta rispetto al cambio della squadra: «Possibilista realista».
Del resto il premier non si nasconde i problemi. C’è un nuovo Pd che preme per essere rappresentato di più (e meglio) in consiglio dei ministri. C’è Scelta civica che pone la questione senza ipocrisie: «Lo vogliamo chiamare risciacquo? Chiamiamolo così. Ma la compagine di governo deve cambiare», intima il capogruppo alla Camera Andrea Romano. Chiedono più voce in capitolo anche i socialisti, sottolineando che al Senato, negli ultimi tempi, la maggioranza si è retta su un pugno di voti. Con il loro apporto determinante. Quando le forze della coalizione si siederanno attorno al tavolo per siglare il patto di governo («entro il 15 gennaio», è l’impegno di Letta) il rimpasto sarà uno degli argomenti centrali. «Il rafforzamento d’intesa con Renzi sarebbe un vantaggio — è il ragionamento di un ministro — . È un tema che Matteo ha posto in qualche modo. Per il governo può diventare una garanzia. Non stai a preoccuparti di cambiare quattro membri del governo se vuoi far saltare tutto entro l’anno».
Renzi sta cercando la strada migliore per rispettare il voto delle primarie e far crescere i consensi del Pd. Contro Grillo e contro una Lega moribonda che col “salva Roma”, pensa il segretario, si è salvata lei mostrando segnali di resurrezione e cominciando a prenderlo di mira. Perché gli inciampi del governo si riflettono tutti sul Pd e sul suo segretario. Rimpasto a parte, il sindaco vuole, in tempi brevissimi, un esecutivo che lavori in modo diverso. «Non possiamo più fare la figura degli ultimi 15 giorni — spiega un amico del sindaco che gli ha parlato ieri — . Stavolta il governo è riuscito a far incazzare persino Napolitano. Qualcosa vorrà dire. Basta che Letta cambi registro e non ci sono problemi. Ma loro devono cambiare registro, questo è certo ». Nella sostanza, il sindaco condivide lo sfogo del deputato Davide Faraone. Vale a dire, un attacco a tutto campo a Letta, senza salvare nulla. «È quello che pensano tutti i deputati del Pd», osservano a Palazzo Vecchio. «È l’occasione per dire: forza, cominciate a rimboccarvi le maniche». Non per correre al voto (cosa impossibile senza legge elettorale). Ma per fare sul serio nel 2014.
Se per Renzi il rimpasto è l’ultimo problema, lo è anche per Letta. Dietro questo dibattito si nascondono anche altri temi, cominciando da un patto vero tra i due. Un accordo chiaro, che non preveda scherzi da prete. E che consenta al Partito democratico di presentarsi alle elezioni libero da zavorre. Al governo, pensa il sindaco, ormai «ci siamo solo noi». Tutto quello che fa si scarica su Largo del Nazareno. «Il Pd non ha più una guida tecnica come Epifani — avverte Faraone —. Ha un segretario eletto da tre milioni di persone, che si gioca la faccia e il consenso. Per questo non possiamo più fregarcene della qualità». Dei provvedimenti e dei ministri.

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