“Applaudo i giovani al potere ma l’età non è una garanzia”

by Sergio Segio | 24 Dicembre 2013 9:31

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ROMA — «I quarantenni al potere? Vediamoli all’opera, poi potremo decidere se sono davvero la novità, se rappresentano quella svolta che il Paese attende. Ho ottant’anni, e forse il cinismo dei vecchi, ma so che la successione generazionale non è una garanzia in sé: il potere è un luogo vuoto come diceva Jean Baudrillard, e chi ci entra spesso si brucia. Aspettiamo i fatti». Giuseppe De Rita, presidente del Censis, da decenni analizza, osserva e anticipa i cambiamenti dell’Italia. Classe 1932, otto figli e 14 nipoti come ama ricordare, definisce oggi il nostro paese una nazione bloccata e con i canali ostruiti. Una società a «mobilità» zero.
Professor De Rita, milioni di italiani hanno chiesto e ottenuto un cambiamento anagrafico della classe politica. Non è un segno di risveglio?
«Di certo qualcosa è accaduto. Le primarie del Pd con la vittoria di Matteo Renzi sono state un evento, Letta è un premier giovane. Ma siamo all’inizio, l’evento non basta, e il cambiamento si vede sui tempi lunghi».
E il Movimento 5Stelle?
«Nasce dalla stessa volontà di qualcosa di diverso, di opposto, anche loro sono stati un evento, ma la politica li ha fagocitati».
Il nuovo che prende le sembianze del vecchio?
«Proprio così. Con tutti i vizi e le incrostazioni. Ed è il rischio anche della cosiddetta generazione della svolta, i quarantenni al potere».
Lei definisce l’Italia un paese con i canali ostruiti.
«Vuol dire che la nostra formidabile mobilità interna, quella che produceva ricchezza e possibilità si è ormai totalmente bloccata. Oggi un giovane che entra in una azienda sa che difficilmente farà carriera, vede davanti a sé soltanto vicoli ciechi. E così se ne va. Anche i miei nipoti stanno andando via…».
E quando e come la nostra mobilità si è fermata? E’ colpa della crisi?
«Quando parlo di canali aperti mi riferisco alla ricostruzione del Paese nel dopoguerra, alla migrazione dal Sud povero verso il Nord delle grandi fabbriche, alla nascita della piccola impresa negli anni Settanta, anche agli anni Ottanta del made in Italy. Poi il meccanismo si è inceppato, i processi di mobilità verticale si sono fermati».
Tangentopoli?
«No, qualcosa si è spento nella coscienza collettiva, abbiamo pensato che il boom non finisse mai, chi aveva il potere si è incollato alla poltrona e ha ostruito l’accesso alle generazioni giovani. Ovunque. Politica, impresa, amministrazione, università».
E’ stato allora, come avete scritto nell’ultimo rapporto Censis, che siamo diventati un paese «sciapo»?
«In parte sì. Abbiamo perso quello che gli alchimisti medievali chiamavano il fervore del sale. Ossia la capacità di suscitare una reazione chimica. Il dramma dei giovani è proprio questo: non avere più canali aperti in cui collocarsi e realizzarsi».
E lei non crede che una classe dirigente giovane possa in qualche modo riaprire i canali ostruiti?
«Lo spero. Purché i politici cosiddetti giovani non si comportino esattamente come chi li ha preceduti».
Ci sarà pure una luce da qualche parte…
«Per fortuna ci sono nel nostro paese ancora settori mobi-li, vivaci e in espansione. Penso all’artigianato digitale, a chi esporta il made in Italy, al protagonismo e alla forza delle donne. Ma vedo anche migliaia di giovani che per trovare una possibilità vanno all’estero. E spesso non tornano più».
Ma altrove una strada la trovano?
«Sì, in gran parte sì. Il resto del mondo non è bloccato come l’Italia. Avendo una così grande famiglia ho un osservatorio privilegiato. In questo momento ho un nipote che sta facendo un concorso per essere assunto come pilota dalla British Airways. Non so se ce la farà, ma il dato di fatto è che la British fa un concorso, apre delle possibilità. Non mi risulta che l’Alitalia bandisca gare per piloti. Ho un’altra nipote che la sua strada l’ha trovata in California, dove fa la chef. Questi sono i canali aperti».
Renzi, Letta, Alfano, i quarantenni. Dovrebbero avere i codici culturali per capire questa generazione…
«Vorrei essere sorpreso positivamente. Ho esordito dicendo che mi concedo un po’ del cinismo dei vecchi. Se penso però ai candidati dell’ultima elezione del presidente della Repubblica, il più giovane aveva settantacinque anni. Chissà, quando un giorno arriverà un cinquantenne al Colle forse scopriremo che davvero l’Italia è cambiata».

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