Incentivi a chi assume e flessibilità ma in Grecia, Spagna e Portogallo le riforme non hanno creato posti
MILANO — Lacrime e sangue tanti. Risultati sul fronte dell’occupazione – almeno finora – pochi. E arrivati con il contagocce solo negli ultimi mesi. La crisi dei debiti sovrani e il pressing della Troika hanno costretto negli ultimi quattro anni Spagna, Portogallo e Grecia a mettere mano con riforme radicali al mercato del lavoro. Ognuno ha applicato la sua ricetta, rivista e corretta con la matita rossa da Ue, Bce e Fmi in cambio degli aiuti. Gli ingredienti però sono stati simili: lotta al precariato, licenziamenti più flessibili e meno costosi più incentivi alle assunzioni. E il risultato è stato al momento uguale per tutti: un netto calo del costo del lavoro unitario ma pochi nuovi posti. Proprio per questo, le gioie (a oggi scarse) e i dolori (molti) dei cugini del “Club Med” passati da queste riforme sono un base utile per ragionare su cosa è meglio fare o non fare qui da noi.
SPAGNA Il primo a fare il tagliando al mercato del lavoro dopo lo scoppio della bolla del mattone, è stato l’ex premier socialista Jose Luis Zapatero congelando gli stipendi pubblici. Le vera rivoluzione però – in un paese dove non esiste l’Articolo 18 – è arrivata con lo sbarco alla Moncloa del Partito Popolare. Mariano Rajoy ha rimesso mano ai cardini del sistema. Ha reso più facili i licenziamenti abbassando gli indennizzi da 45 a 33 giorni per anno lavorato per quelli senza giusta causa e da 30 a 20, per un massimo di 12 mesi, per gli altri. E ha concesso ai gruppi in crisi di varare intese aziendali “al ribasso” rispetto ai contratti nazionali. Madrid si è mossa pure contro il precariato: il tetto dei contratti atipici è stato tagliato da 36 a 24 mesi e il numero delle loro
fattispecie sforbiciato da 41 a cinque. Le imprese ricevono 3mila euro di aiuti l’anno per assunzioni a tempo indeterminato, cifra che sale a 3.500 per gli under 30 e a 4.500 per gli over 45.
Quali risultati hanno dato questi interventi? L’Ocse li celebra entusiasta: «Hanno fatto aumentare del 30% i nuovi posti fissi e dato lavoro a 25mila persone al mese». Peccato che la disoccupazione – al 7,6% nel 2007 – viaggi ancora al 27% (quella giovanile è al 57%) malgrado un calo di 12 punti del costo del lavoro dal 2009.
PORTOGALLO Lisbona – anche lei sotto l’occhio vigile della Troika – ha clonato con qualche piccola variazione il modello iberico. L’indennizzo per i licenziamenti è stato ridotto da 30 a 20 giorni per anno lavorato con un tetto di 12 mesi di buonuscita. I costi degli straordinari sono stati dimezzati e dalle normative nazionali è sparita la pausa di 15 minuti obbligatoria per ogni ora di extra-time. Alle aziende sono state concesse fino a 150 ore all’anno di straordinari in caso di picchi d’attività e dal calendario sono spariti tre dei 25 giorni di festa comandata previsti nel paese. La durata del sussidio di disoccupazione è stata ridotta da 36 a 28 mesi senza lifting eccessivi alla contrattualistica per gli ingressi. Anche in Portogallo i risultati della riforma sono in chiaroscuro. Il costo del lavoro è calato di cinque punti dal 2009, il pil ha ripreso a salire (+1,1% già dal secondo trimestre). La disoccupazione (al 7,3% a inizio crisi) resta nella stratosfera anche se dal 17,7% di luglio siamo scesi a ottobre al 15,6%.
GRECIA La riforma del mercato del lavoro di Atene ha avuto – causa la gravita della crisi greca –un percorso molto più elementare e brutale. La prima ricetta sono stati i tagli agli stipendi. Dal 2008 ad oggi, calcola l’istituto di statistica, quelli pubblici sono calati del 34% e quelli privati del 27%. Una ferita dolorosa visto che nello stesso periodo lo stato ha tagliato del 26% le tutele del welfare. Lo stipendio minimo è stato ridotto a 490 euro. Non solo. Chi assume un giovane tra i 18 e i 25 anni può pagarlo il 25% in meno di questa cifra, mentre per chi dà un lavoro a tempo indeterminato è autorizzato a garantire un salario ridotto del 20% rispetto a quello previsto dai contratti nazionali.
Il governo di unità nazionale ha eliminato la quattordicesima, ridimensionato le tredicesime e sforbiciato i vari premi e bonus (tipo 6 giorni di ferie per chi donava sangue) un po’ anacronistici. Difficile sostenere che questa cura lacrime e sangue abbia per ora funzionato. Il reddito disponibile delle famiglie elleniche è calato del 40% e malgrado il crollo di 32 punti del costo del lavoro, la disoccupazione resta ai livelli massimi: 27,6%, con un sconfortante 55,1% tra gli under 25.
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