Le «larghe intese» ora sembrano due e assediano il governo

Loading

In modo un po’ provocatorio, il capogruppo berlusconiano alla Camera, Renato Brunetta, accredita una consuetudine quotidiana con l’emissario renziano, Dario Nardella. E assicura che il leader del Pd sarebbe d’accordo con Berlusconi per andare alle urne per la data del 25 maggio, abbinando politiche ed europee. È una strategia tesa a far saltare i nervi al centrosinistra, mettendo in tensione sia il premier Enrico Letta, sia il suo principale alleato, Angelino Alfano: sebbene non si capisca quanto davvero Berlusconi punti davvero sulle urne.
La pressione viene esercitata raffigurando il Pd di Renzi e FI come i partiti che hanno dietro di sé «il popolo», e dunque il diritto di chiedere lo scioglimento di Camere ormai delegittimate dalla Consulta; mentre davanti ci sarebbero solo istituzioni chiuse nei loro giochi parlamentari. Insomma, si stanno delineando non una maggioranza e un’opposizione, ma due coalizioni parallele di «larghe intese». C’è quella governativa, formata dal presidente del Consiglio, da Alfano e il Nuovo centrodestra e da Scelta civica e Udc. E c’è quella fredda o ostile nei confronti dell’esecutivo, che ha nel nuovo vertice del Pd e in Fi i due interlocutori principali. Tanto che tra i Democratici c’è chi comincia a chiedere a Renzi perché abbia cominciato a trattare sul sistema di voto con i berlusconiani e non con gli alleati di Letta.
«Il problema è dove si finisce», avverte Alfano. «Il nostro obiettivo è stabilizzare il governo, non destabilizzare. Prima dobbiamo intenderci all’interno della maggioranza, poi si parla con tutti». L’asse fiorentino tra Renzi e Denis Verdini, plenipotenziario di Berlusconi su questo tema, getta invece un’ombra sul «patto per il 2014» che il leader della sinistra vuole formalizzare con Palazzo Chigi. Il tentativo di Fi è di convincere il neosegretario del Pd che, se non rompe in fretta, rischia di perdere la spinta propulsiva iniziale e l’occasione di diventare premier. La condizione per il «placet» berlusconiano alla riforma elettorale sarebbe, dunque, la crisi del governo. Una fine della legislatura di qui a pochi mesi schiaccerebbe infatti il Nuovo centrodestra sul Cavaliere, azzerando i margini di crescita del gruppo di Alfano. La scelta finale toccherebbe al vertice del Pd, però, costretto ad abbattere un governo guidato da un suo uomo.
Per questo, l’atteggiamento di Berlusconi appare tattico: quello che gli interessa è logorare il fronte avversario. Per il resto, ritiene di poter reggere all’opposizione per un altro anno: quello che gli serve per tentare di ridisegnare l’intero centrodestra e soprattutto per rifare il proprio partito. L’insistenza degli uomini del Cavaliere su un asse con Renzi promette dunque di alimentare i sospetti e i malumori nel Pd; e di danneggiare politicamente il segretario, oltre che Enrico Letta. Evoca infatti un’alleanza extraparlamentare proprio con quell’avversario storico della sinistra che il partito non ha mai digerito come parte dello stesso governo: neppure in nome dell’emergenza economica e istituzionale. Il paradosso sarebbe che, proprio nel momento in cui il Pdl si è spaccato e Berlusconi è passato all’opposizione, la sponda del Pd per la riforma elettorale torna a essere lui.
Renzi, tuttavia, ha buon gioco quando chiede più dinamismo al governo e critica la politica di solo rigore dell’Ue. Letta ieri da Bruxelles ha spiegato che se facesse «il Babbo Natale che cede a ogni richiesta», manderebbe «l’Italia in bancarotta. Tutti chiedono, ma la somma del tutti chiedono» sarebbe il disastro dei conti pubblici. Eppure, più l’Europa si mostra in affanno, più diventa difficile fare accettare all’opinione pubblica alcuni provvedimenti solo perché altrimenti Bruxelles bacchetta l’Italia e i mercati la puniscono. Per quanto possa essere vero, non basta più. Di qui a fine gennaio, dunque, bisognerà capire se e quanto il dinamismo aggressivo di Renzi si amalgamerà con la prudenza «da buon padre di famiglia» rivendicata da Letta. Il premier è convinto che lavoreranno bene insieme. Per farlo, però, sicuramente dovranno sacrificarsi molto entrambi.


Related Articles

Lazio, Radicali con Storace Pannella: «Imbarazzo? No, lui non è la Binetti»

Loading

ROMA — Sul «taxi» di Francesco Storace verso la Regione Lazio, c’è posto anche per i Radicali, fino a ieri alleati del centrosinistra (nel 2010 fu Emma Bonino la sfidante della Polverini) e oggi «tecnicamente apparentati» col candidato del centrodestra: così, per entrare alla Pisana, gli basterà  superare l’1%.

«Segretario scelto dagli iscritti» Lite nel Pd, poi Epifani corregge

Loading

Polemiche su Franceschini. Il leader: chi ci sostiene può partecipare. E i renziani applaudono i «ribelli» Bindi e Cuperlo

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment