La crudeltà dimenticata

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Quando si accorgono che le cure non hanno effetto e che il malato è incurabile, i bollettini diventano sempre più rari. La stampa internazionale avrebbe materia per dedicare ogni giorno una buona parte della prima pagina alla guerra civile siriana.
Due rapporti recenti — uno di agenti delle Nazioni Unite, l’altro di Amnesty International — dimostrano che ciascuna delle due parti, per fare il vuoto intorno al nemico, colpisce sempre più crudelmente la popolazione civile. Gli uomini, le donne, i bambini, vengono arrestati, imprigionati, torturati. Molti, soprattutto nelle zone controllate dal governo, scompaiono. Ciascuna delle due parti si accanisce soprattutto su coloro che possono, sia pure indirettamente, servire all’altra. Tutti obbediscono alla regola secondo cui «è mio nemico anche il medico che cura le ferite dei miei nemici».
Le responsabilità maggiori, dal punto di vista del diritto internazionale, sono del governo di Bashar Al Assad, colpevole di quella che appare sempre di più una guerra a oltranza dello Stato siriano contro i propri cittadini; ma quelle morali sono equamente distribuite. Abbiamo denunciato l’uso delle armi chimiche perché erano state lungamente sul banco degli accusati e avevano provocato interminabili dibattiti internazionali. Ma questo stillicidio di violenze quotidiane persino peggio. Perché i bollettini medici sono diventati sempre più rari? Conviene ricordare che non tutti i medici erano d’accordo sulla diagnosi e sulle cure. I principali dottori accorsi al capezzale del malato — Arabia Saudita, Iran, Qatar, Russia, Stati Uniti, Francia, Turchia, per non parlare della Cina e di altre potenze europee — volevano la guarigione del proprio paziente e la morte dell’altro. Non somministravano medicine, ma armi, intelligence, sostegno logistico. Non lavoravano per la pace, ma per la vittoria del loro rispettivo pupillo. Poi, gradualmente, ogni dottore ha capito che il suo paziente gli stava scappando di mano, non accettava consigli e si rimetteva alla strategia della sua fazione più radicale. È accaduto nel campo del regime, ma anche in quello della resistenza, sempre più soggetta alle infiltrazioni di Al Qaeda.
Nessuno lo ammette esplicitamente e qualcuno, come un principe saudita, ventiduesimo figlio del fondatore del Regno, ha scritto recentemente su un giornale americano, che il suo Paese, se necessario, farà da sé, anche se la sua politica sarà radicalmente diversa da quella degli Stati Uniti.
Ma tutti sanno che da una guerra come questa uscirà vincitore soltanto quello che sarà riuscito ad annientare spietatamente tutti i suoi nemici.
La conferenza di Ginevra sulla Siria, se verrà convocata, avrà un senso soltanto quando i Paesi coinvolti nella crisi (fra cui finalmente anche l’Italia) si saranno accordati su due misure: la sospensione di qualsiasi assistenza che non sia strettamente umanitaria e la creazione di un cordone sanitario intorno al territorio siriano per impedire il passaggio di qualsiasi fornitura militare.
Non sarebbe la fine della guerra, ma potrebbe essere l’inizio di una fase nuova, il primo passo verso un reale negoziato


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