«Guardiamoci negli occhi» Ma è competizione continua tra due leader troppo diversi

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In un minuto, cronometrato, il neosegretario consulta il telefonino, beve acqua naturale da una bottiglietta tipo ciclista in salita, ondeggia sulla sedia, si tocca il volto, si gira a destra a dire una cosa nell’orecchio alla Madia, si passa una mano tra i capelli, guarda di nuovo il cellulare, dà il cinque a Pittella, si volta a cercare i toscani che sta per insediare al vertice del partito — dov’è Lotti? dov’è Bonifazi? dov’è la Boschi? —, scrive una correzione al testo del discorso, guarda l’orologio, poi di nuovo il cellulare.
Nello stesso minuto, il premier rimane fermo, le braccia incrociate, le gambe accavallate. A un certo punto si anima per applaudire Epifani. Poi torna a braccia conserte.
Oggi si sono pure scambiati il look: Renzi per una volta in giacca e cravatta, Letta per una volta in maglioncino azzurro. «Hanno due caratteri troppo diversi per prendersi» sostiene un ministro che li conosce bene. Spesso però un temperamento inquieto è attratto da un temperamento imperturbabile, e viceversa. Sono proprio le due nature ad apparire inconciliabili. Forse anche i loro interessi. «Ma no!» sbotta Franceschini, «Matteo ha tutta la convenienza ad appoggiare Enrico: se il governo va male, alle Europee il Pd andrà male; se in questi mesi riusciamo ad abolire il Senato e a fare una legge maggioritaria, Matteo avrà un’autostrada davanti». Resta il fatto che, come nota Epifani, «Renzi oggi ha alzato l’asticella».
Altro che i soliti slogan. Unioni omosessuali, cittadinanza ai figli degli immigrati, abolizione della Bossi-Fini: tutti argomenti destinati a mettere in difficoltà il governo. Ma soprattutto il segretario lancia un’offensiva sul lavoro: «È finita l’era dell’ideologia», addio al rapporto privilegiato con la Cgil, addio all’attuale sistema della cassa integrazione, sussidi a tutti coloro che perdono il lavoro, nuovo contratto, nuova formazione.
Letta applaude ogni passaggio. Anche l’attacco alle larghe intese, «che devono restare un’eccezione». Anche la richiesta di definire la legge elettorale alla Camera «entro gennaio». La presenza del premier all’assemblea che incorona il rivale non era scontata. Letta è venuto non solo a segnare il territorio, ma a ricordare che il Pd è anche il suo partito, e non ha un solo leader ma due. Dopo l’accelerazione sul finanziamento pubblico, ha tentato di anticipare Renzi pure sul lavoro, illustrando un piano per detassare le assunzioni dei giovani. «I due non si amano, ma tra loro è scattata una competizione in positivo» sorride Dario Nardella, l’uomo più vicino a Renzi. «Non pensavo che Enrico si spingesse così in là nel riconoscere che ora vittorie e sconfitte del governo ricadranno sul Pd», annota Francesco Sanna, l’uomo più vicino a Letta.
Su tre categorie il giudizio è lo stesso: forconi («antisemiti» e «sfascisti»), giornalisti e grillini. Letta: «Matteo, diciamolo insieme ai cronisti: basta retroscena su noi due. Non c’è un luogo segreto dove avvengono le cose, tutto quello che dobbiamo fare lo faremo con la massima trasparenza, come stamattina». Renzi: «La penso come Enrico, voglio uccidere politicamente i retroscenisti parlando il linguaggio della franchezza, dicendo le cose in faccia, guardando negli occhi». Comincia con D’Alema, cui stringe la mano riconoscendo che «la campagna sulla rottamazione è stata volgare», ma necessaria a «far scattare il cambiamento»; per Veltroni invece ha un abbraccio, «tutto questo è possibile per merito tuo». Renzi è interrotto spesso dagli applausi, ma l’unica ovazione in piedi la ottiene al passaggio contro Grillo; proprio com’era accaduto mercoledì scorso alla Camera, quando Letta aveva scaldato i deputati del Pd duellando con i Cinque Stelle.
Il premier vuole partecipare pure alle votazioni: siccome non ha la delega, vota alzando la mano. Poi va a prendere il volo di linea delle 14 per Fiumicino, uscendo fa un saluto con la mano a Renzi, che risponde alzando il pollice. Bilancio della giornata, nella visione pessimista di Rosy Bindi: «O il segretario non raggiunge gli obiettivi, e non mi pare il tipo, oppure per raggiungere obiettivi inaccettabili da Alfano, tipo ius soli e unioni civili, farà cadere il governo». Bilancio nella versione ottimista di Maria Elena Boschi: «Noi ci stiamo attrezzando per arrivare con Letta fino alle primavera del 2015. Però ci stiamo attrezzando anche per non essere asfaltati alle Europee». Altri renziani sperano ancora che il capo vada alla rottura, ma lui sembra rassegnato a convivere con il premier, pungolandolo giorno per giorno: «Se riusciamo a fare quello che abbiamo detto, ci attende un anno divertente, leggermente scoppiettante…». Si inizia oggi: visita alla terra dei fuochi con il ministro dell’Ambiente Orlando.
L’assemblea, più attempata del previsto, sciama verso il guardaroba pieno di trolley. Nello «spazio bambini» ci sono tre baby-sitter per due figlioli. Le delegate più giovani si indicano il biondo Lotti, l’erede di Migliavacca, come se fosse un incrocio tra De Gasperi e Harry Styles leader degli One Direction: «Guardalo, sembra un putto rinascimentale…». D’Alema, stizzito col mondo, pare ormai l’imitazione di se stesso. Renzi ascolta e bacia sulle guance tutti gli oratori che si succedono alla pedana, maschi e femmine, si alza solo una volta per prendere un panino, «non mi andava di mangiare davanti a tutti». Spiega di aver scelto come colonna sonora «Resta ribelle» dei Negrita per dire che non si farà ingabbiare dalla politica romana, e anche per citare «i ribelli per amore, la preghiera di Teresio Olivelli al Dio della spada e degli eserciti, il manifesto della Resistenza cattolica». Poi passa a Crozza: «Sono felice che il marchio Moncler adesso sia italiano ma, a dispetto delle imitazioni, a me i paninari non sono mai stati simpatici. Mi spiace per Enrico, che degli Anni 80 è grande estimatore…».


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