Lega, al congresso si raduna l’«Internazionale anti europea»
L’antipasto del congresso leghista si è svolto ieri sera, una cena a cui ha partecipato il fior fiore della destra euroscettica: dal presidente dei fiamminghi del Vlaams Belang, Gerolf Annemans, all’erede di Jörg Haider, Heinz-Christian Strache, capo dell’austriaco Fpo. Dall’olandese Geert Wilders del Pvv — autore del film anti islamico «Fitna» — fino a Viktor Zubarev, plenipotenziario del partito di Putin, Russia Unita. Avrebbe dovuto esserci anche la primadonna della destra francese, Marine Le Pen, la leader del Front national in pieno exploit di consensi, ma in extremis si è fatta sostituire dal suo portavoce Ludovic De Danne. Mancano, e di proposito, soltanto i neonazisti greci di Alba dorata.
In una Torino tormentata dalle scorrerie dei Forconi, la Lega del nuovo corso mette il primo mattone di una strategia che nelle prossime settimane e mesi diventerà martellante: no all’Europa, basta con i nemici dei popoli. Spiega il segretario in pectore Matteo Salvini che l’obiettivo è fare gruppo comune a Bruxelles con tutte le forze che ieri sera erano rappresentate al Lingotto (tranne, ovviamente, i russi). In modo da poter dettare al moloch europeo (spera Salvini) le parole d’ordine comuni: stop all’immigrazione, fucili puntati contro le minacce dell’integralismo islamico, priorità assoluta ai «padroni di casa» contro le «invasioni di chi non si vuole integrare». Ma anche basta alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dei confini comunitari. In buona sostanza, il manifesto antieuropeista presentato alcuni giorni fa dalla signora della destra, Marine Le Pen.
Il congresso di oggi è anche l’avvio ufficiale del nuovo corso padano. Significativo il titolo dell’assise: «Indipendenza è futuro». I 552 delegati sentiranno il neo segretario sancire il ritorno alle parole d’ordine indipendentiste: «Via da Roma, via da Bruxelles». Il tempo stringe, le Amministrative e le Europee sono dietro l’angolo, e la militanza va scaldata. Dopo la secca sconfitta di Umberto Bossi nelle primarie leghiste del 7 dicembre, oggi Salvini diventerà ufficialmente il segretario, dato che Roberto Maroni ha ritenuto incompatibile il suo ruolo di governatore con quello di un movimento che nei prossimi mesi sarà assolutamente di lotta. Attenzione: il fatto che lo stesso Maroni abbia indicato il suo successore, non significa necessariamente una continuità priva di scosse: Salvini — europarlamentare e fino a pochi mesi fa concentratissimo su Milano — è in qualche modo estraneo al corpo del vecchio stato maggiore leghista e alla sua ossatura parlamentare.
La prima polemica interna riguarda il ruolo del fondatore. Flavio Tosi, il potente segretario veneto, avrebbe voluto estrometterlo dalla presidenza della Lega. Più come fatto simbolico che per la preoccupazione riguardo ai poteri connessi alla carica: «Candidandosi — ha detto nei giorni scorsi — ha perso la condizione di figura super partes». Ma, alla fine, Salvini non ha voluto infierire e anzi, alla segreteria politica della scorsa settimana ha avuto parole di gratitudine per l’ex leader. Confermato, peraltro, anche l’appannaggio a carico del partito che Roberto Maroni aveva concesso a Bossi poco dopo essere stato eletto segretario. Resta il fatto che il nuovo filone delle inchieste milanesi a carico del fondatore della Lega e dei suoi vecchi collaboratori sanciscono nei fatti l’uscita di scena di chi, nel bene e nel male, aveva costruito il movimento a sua immagine.
L’altra partita da chiudere è l’avvicendamento di Salvini alla guida della Lega lombarda di cui oggi è segretario. La soluzione scelta, almeno per il momento, è quella di non toccare nulla: semplicemente, la carica andrà formalmente al suo vicario, il bresciano Stefano Borghesi. Quieta non movere.
Marco Cremonesi
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