Il sindaco detta l’agenda: tagli ai partiti, fare di più e aboliamo la Bossi-Fini

by Sergio Segio | 15 Dicembre 2013 8:10

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Non sa cosa sia uno stop, il segretario del Pd, e nemmeno una fermata.
All’assemblea nazionale del Partito democratico ci saranno e parleranno tutti o quasi: Guglielmo Epifani, Enrico Letta, il neopresidente Gianni Cuperlo. Ma i riflettori saranno per il leader, che in meno di una settimana ha spedito la riforma elettorale alla Camera e ha spinto il governo a varare un decreto sul finanziamento pubblico. Non che questo gli basti. Però ha impresso il segno della sua svolta nell’andamento della politica italiana. Un altro potrebbe accontentarsi. Lui no. Spiega ai fedelissimi: «L’uscita graduale dalla logica dei rimborsi elettorali è un primo passo, ma si può fare di più». Tre anni sono tanti. Renzi se ne rende conto. Capisce che quel provvedimento presta il fianco alle critiche di Beppe Grillo e ai malumori della gente che non arriva alla terza settimana del mese.
Per questa ragione rilancerà: il Pd è anche disposto a rinunciare al finanziamento pubblico che verrà, a patto che i grillini dimostrino altrettanta serietà sul taglio ai costi della politica. Ovvero elimino le Province, aboliscano il Senato, tramutandolo in Camera delle autonomie locali, dove ci siano solo i presidenti delle Regioni e i sindaci a costo zero senza indennità e rimborsi, cancellino gli enti inutili «come il Cnel».
Rinunciare ai rimborsi per il Pd significherebbe rinunciare a una quarantina di milioni di euro. Raccontano che Renzi sia rimasto basito quando ha visto i conti. Misiani, tesoriere uscente del Pd, un mesetto fa, diceva: «Tanto troverà le casse vuote». Non aveva torto. Solo quattro milioni in un anno per consulenze esterne di cui non si vedeva il bisogno, rimborsi di ristoranti e alberghi. È stato a quel punto che il leader del Pd si è reso conto che andare avanti così era impossibile. Di più: che era «immorale»: «Io i miei conti li pago da me, facciano così anche gli altri».
Ma questo è solo uno dei fronti che oggi Renzi aprirà davanti al premier. L’altro è quello della riforma elettorale: «Si comincia da questa settimana perché entro gennaio, entro febbraio al massimo, dobbiamo approvare la legge alla Camera e poi passare subito al Senato, non possiamo consentirci il lusso di perdere tempo. Quindi io continuo a tenere aperto l’accordo con tutti: da Grillo a Forza Italia». Ovviamente passando per Sel, con cui i rapporti, non da oggi, sono frequenti. Ma non è finita qui: sempre davanti al premier il segretario del Pd chiederà l’abolizione della Bossi-Fini. Quella sugli immigrati e sullo ius soli sarà una delle grandi battaglie del nuovo Pd, e non ci sarà Alfano che tenga. Sono tutti argomenti su cui il segretario non intende fare sconti, anche perché sa che il popolo del centrosinistra è sensibile a determinati temi. Non solo: Renzi farà delle proposte innovative sulla scuola e la cultura e attaccherà quella che in privato chiama «la cavolata della web tax». Il segretario è tentato di dire una parole anche su un altro argomento sensibile: le unioni civili.
Tutti temi che faranno fibrillare il Nuovo centrodestra. Che non è in grado di rinunciare al finanziamento pubblico futuro, che annaspa sulla Bossi-Fini e che, insieme al resto del governo, ha trovato una fonte di finanziamento da una tassa, quella sulla rete, invisa a tutti i giovani. Del resto, è il Ncd, oltre ai grillini e a una parte di Scelta civica, il campo di conquista di Renzi. Ma non finisce certo qui. C’è un’altra battaglia che Renzi è pronto a combattere e che lo ha portato, addirittura, ad avvicinarsi a Landini: quella sulla rappresentanza sindacale. Il leader della Fiom la mette in discussione, il segretario del Pd anche. Il governo, abituato alla concertazione con Cgil, Cisl e Uil si troverà in difficoltà pure su questo terreno. Ma è la rappresentanza sociale tradizionale più in generale che Renzi mette in dubbio: anche quella dei commercianti, degli imprenditori, degli artigiani. E i giorni dei Forconi sembrano dargli ragione.
Riuscirà il sindaco a portare a termine la sua rivoluzione con il Pd? Ieri sera si è chiuso con il suo braccio destro e sinistro Luca Lotti a esaminare le liste della direzione che sarà. In assemblea ha la maggioranza assoluta. In direzione pure. Per questo medita di mettere ai voti quella che secondo gli antichi riti si chiama la relazione del segretario e che lui, con i suoi modi «spicci», definisce «l’agenda del governo».
Maria Teresa Meli

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