by Sergio Segio | 11 Dicembre 2013 9:51
MILANO. NON era mai successo che il leader di una forza politica rappresentata in Parlamento chiamasse le forze dell’ordine a sostenere una rivolta, venendo meno al loro dovere di lealtà democratica. C’è qualcosa di sinistro, un sapore cileno in questa visionaria pulsione insurrezionale.
UNA pulsione che sollecita i generali dei carabinieri, dell’esercito e della polizia, cui spetta il monopolio della forza, affinché gli uomini in divisa si facciano promotori di una delegittimazione dello Stato. Grillo vaneggia di miccia esplosiva e di Italia in fiamme, inseguendo l’estrema destra che si lascia facilmente riconoscere nel linguaggio dei volantini distribuiti ai blocchi stradali in cui si manifesta la disperazione degli ambulanti, dei camionisti, degli ultras da stadio. A sua volta imitato dalla destra berlusconiana che spera di recuperare in piazza la verginità perduta in anni di malgoverno, fino alla mossa del Cavaliere pronto a incontrare i ribelli.
La spallata che Grillo già sognava giungesse dai cinque giorni di sciopero a oltranza degli autoferrotranvieri di Genova, dovrebbe trasformarsi in sollevazione per mandare a casa il Parlamento eletto a febbraio e, con lui, il governo e il presidente della Repubblica. Tutti a casa, tutti corrotti, il popolo in piazza. Per iniziativa di chi? Niente meno che dei Forconi, l’opaco movimento che ha avuto per epicentro la patria dell’economia illegale, la Sicilia, e che ora ha raggiunto il Nord Italia viaggiando sui Tir alla volta dei mercati generali ortofrutticoli dove regna il lavoro nero.
Li incontro davanti all’Upim di piazzale Loreto a Milano, con le bandiere tricolori e i cartelli «Vendesi. Letta liquida tutto». Chi siete? «Siamo l’Italia». No, dai, dimmelo. «Il popolo, il popolo che si ribella». Organizzato da chi? «Da Facebook». Ma ci sarà pure un coordinatore fra voi…
«Prova con quello lì, barba e cappello nero…».
Mi si affollano intorno, parlano tutti insieme: «Abbiamo il frigorifero vuoto»… «Ti sembra giusto che a 19 anni devo mantenere mia madre e che ieri hanno pure arrestato mia sorella per un fatto di cui è innocente?»… «Io sono imprenditore, la prima volta che vado in piazza, mi porto la bandiera dell’Italia»… «E io ho una piccola gioielleria… »… «A questo punto ribellarsi è un dovere…». Siete i Forconi? «Macché, tutte le sigle, Movimento Autonomo Trasportatori, Cobas Latte, Life, Azione Rurale Veneto, sono superate: noi siamo l’Italia».
Jacopo Danielli, finalmente un nome, cresta bionda e orecchino, si autodefinisce «anarchico ma con criterio» e distribuisce un manifesto personale in cui critica l’estrema destra che si camuffa dietro ai Forconi; ma intanto è qui anche lui e mi chiede di aiutarli. A fare cosa? «Restiamo per strada finché non se ne vanno a casa tutti e mille gli abusivi del Parlamento, non ce la facciamo più». Cosa avevate votato? «Cinque Stelle tutta la vita, ma tra di noi troverai anche chi ha votato altro, sì, anche i fascisti». Perché proprio in piazzale Loreto? «E ce le chiedi? Intanto perché qui è stato appeso a testa in giù il regime di prima, e poi perché da qui si blocca tutta la tangenziale Est di Milano». Ma siete in poche decine, c’è un sacco di polizia… «Vuoi vedere come fermiamo il traffico? Basta fare un giro ogni dieci minuti…». «E stasera andremo tutti davanti a Mediaset perché la televisione tiene nascosta la protesta del popolo ».
Sarà per le bandiere appoggiate sulle spalle, sarà per i ragazzi rasati e vestiti di nero, sarà per quelle signore arrabbiate che distribuiscono il volantino de “L’Italia si ferma” all’uscita del métro («Ci hanno accompagnato alla fame, hanno distrutto l’identità di un Paese, hanno annientato il futuro di intere generazioni… contro il Far-West della globalizzazione che ha sterminato il lavoro degli italiani… per riprenderci la sovranità popolare e monetaria »), fatto sta che l’atmosfera è quella dello stadio di San Siro la domenica pomeriggio. Difatti parte il coro «Uno di noi, uno di noi…», che mi convince a filarmela prima che mi organizzino un blocco stradale apposta. Ci sono dei finanzieri in assetto antisommossa, ma il casco lo portano legato alla cintura.
Proprio lì di fianco, in viale Brianza, c’è un altro assembramento, sia pure più ridotto: davanti a una delle macellerie più rinomate e care di Milano ci vuole una fila di mezzora per comprare il fassone piemontese a 30 euro il chilo. Eccola qui la solita Italia dei ricchi e poveri, arrabbiata e spaccata in due.
Questa jacquerie che aspira a trasformarsi in sommossa generalizzata l’avevo sentita montare nei giorni precedenti perfino nei negozi di sperduti paesini del Monferrato. La fornaia che ha finito il pane alle 11 perché i clienti fanno incetta in vista del blocco delle strade. L’ortolano prudente che lo sa già: «Lunedì inutile andare alle 4 del mattino ai Mercati Generali di Torino, tanto saranno chiusi ». Un tam tam del malcontento che non ha bisogno di leader per diffondersi.
Poi la prima esplosione con gli scontri di piazza davanti alla Regione Piemonte, quella il cui presidente si faceva rimborsare anche le sigarette e i mutandoni. Nell’assedio si ritrovano gli ambulanti di Porta Palazzo, gli autotrasportatori e gli ultras delle tifoserie già da tempo coalizzati oltre il colore delle maglie. Li unisce una rete tessuta silenziosamente da Forza Nuova e da altre sigle dell’estrema destra. Bastava leggere lo striscione di solidarietà con i sampdoriani cui la polizia aveva impedito di raggiungere Milano, esposto dalla curva nerazzurra di San Siro domenica 1 dicembre.
La sera di lunedì scorso avevo incontrato la protesta dei Forconi nel centro di Genova, dov’era arrivata per estensione dopo i blocchi delle stazioni e degli snodi autostradali nel Ponente ligure. In basso presidiavano piazza della Vittoria, la stessa del V-day di Beppe Grillo. Ma nel cuore della città, intanto, altri gruppetti sparpagliati di manifestanti senza alcun simbolo, giovani incappucciati, trasportavano le transenne dei cantieri vicini fino in piazza De Ferrari per ostruire l’accesso a via XX settembre. Veloci, silenziosi. Saranno quelli dei centri sociali? Di nuovo un contrasto plateale, nelle strade opulente dello shopping natalizio. L’arteria commerciale intasata dagli automobi-listi malcapitati. Qui e là i manifestanti senza nome, drappelli di polizia con l’ordine di lasciarli sfogare. Ma lungo i marciapiedi, davanti alle vetrine del lusso, faceva impressione riconoscere a poche decine di metri l’uno dall’altro alcuni anziani ben vestiti (no, non erano rom) inginocchiati a chiedere l’elemosina. Bisognerà prima o poi raccontarla questa Italia dei nuovi mendicanti, non più solo gli stranieri venditori di rose avvizzite. Il piccolo commercio andato a rotoli, l’economia del finto lavoro autonomo che non regge più e s’incrocia con l’esasperazione dei precari.
Grillo si offre come capopopolo, aspira a metterli tutti insieme. Propone come catalizzatore del loro malcontento l’obiettivo di decapitare la classe politica dei nominati. Me lo ripetono con gentilezza i manifestanti di piazzale Loreto: «Avevi votato per Bersani e ti ritrovi il governo Letta, sei stato truffato anche tu. Unisciti a noi, siamo senza lavoro e senza soldi, non ci fermeremo finché non li avremo mandati a casa». «Ieri eravamo alla Bicocca e siccome dal coordinamento nazionale non venivano indicazioni abbiamo deciso di testa nostra di venire qui in Loreto. Domani (oggi, ndr) bloccheremo un’altra zona. I politici devono capire che per loro è finita, non abbiamo niente da perdere».
Su via Doria, dietro al monumento dei partigiani trucidati, sfilano i trattori dei coltivatori diretti alla Regione Lombardia. La destra in piazza coi tricolori non può dichiararlo, ma confida di godere della simpatia di ufficiali e poliziotti. Quanto a Grillo, lui ci prova. O la va o la spacca.
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