Batosta per i Gandhi E adesso è in bilico il futuro di Rahul

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Sonia Gandhi, suo figlio Rahul e il vertice del partito indiano del Congresso hanno ieri accettato con «umiltà» i verdetti di quattro importanti elezioni locali che li hanno visti soccombere nettamente. Oltre che umili, ora dovranno essere coraggiosi: a maggio si vota per il Parlamento nazionale e quello di ieri è più di un campanello d’allarme, è un messaggio di pericolo grave per il governo, per il Congresso e per la stessa dinastia che domina la politica indiana dall’indipendenza del 1947. Sonia dovrà decidere se Rahul — 43 anni, continuatore designato dell’impegno politico della famiglia Gandhi — è l’uomo giusto per seguire la strada del bisnonno Jawaharlal Nehru, della nonna Indira, del padre Rajiv e di lei stessa. Molti ne dubitano, forse anche lui.
Le elezioni di cui si sono saputi i risultati ieri sono state un disastro per il Congresso. Si votava a New Delhi, nel Rajastan, nel Madhya Pradesh e nel Chhattisgarh. Nel distretto della capitale il Congresso è crollato al terzo posto, a vantaggio di un nuovo partito locale e soprattutto dell’unico avversario con una presenza nazionale, il nazionalista indù Bjp che alle elezioni di primavera gli contenderà il potere. Il Bjp ha conquistato la maggioranza assoluta anche negli altri tre Stati. Una vera umiliazione per il Congresso, tornato al governo nazionale (di coalizione) nel 2004 e riconfermato nel 2009. La signora Gandhi, presidente del partito, ha ammesso la sconfitta e ha convenuto che «la gente non è contenta, altrimenti non avrebbe dato i risultati che ha dato». Ha poi promesso che il partito effettuerà «una profonda introspezione» e «al momento opportuno» comunicherà chi candiderà a primo ministro il prossimo maggio.
Proprio qui sta il problema. L’attuale premier, Manmohan Singh, ha 81 anni e si esclude che si candidi per un terzo mandato. Fino a ieri, a Delhi si dava per scontato che sarebbe stato Rahul, vicepresidente del Congresso, a guidare la campagna elettorale da candidato. Il risultato elettorale indica però che gli indiani vogliono un cambiamento, che sono stanchi di otto anni di governo del Congresso e che non pensano che la novità possa venire dai Gandhi: Rahul è stato in questi mesi la figura più esposta del partito e la bocciatura lo colpisce in pieno. Tra l’altro, finora non è stato in grado di essere convincente in nessuna competizione elettorale, dando l’impressione di non amare il mestiere che fa. A rendere urgente una riflessione del Congresso è il fatto che il Bjp ha già nominato e messo in campo il suo uomo per il prossimo maggio. Ed è un leader che, per quanto nazionalista controverso, arriva sulle ali di successi nella gestione del suo Stato e di un’agenda riformista: Narendra Modi. Tutto, a cominciare dai sondaggi e dalle grandi masse che i suoi comizi mobilitano, fa pensare che Modi — 63 anni, dal 2001 Chief Minister del Gujarat — alle prossime elezioni possa battere sonoramente Rahul. A questo punto, Sonia e i vertici del Congresso devono decidere se l’ormai relativamente giovane erede dei Gandhi sia in grado di portarli alla vittoria o almeno a una sconfitta non catastrofica. Alternative al momento non se ne sono viste, ma se la risposta dovesse essere no, per la first family dell’India sarebbe la rottura forse definitiva della catena che la lega al potere dell’India indipendente. D’altra parte, se la risposta fosse sì e a maggio arrivasse una sconfitta delle proporzioni di quella di ieri, non si spezzerebbe solo il legame con il potere dei Gandhi ma anche quello del glorioso Congresso, partito nato nel 1885, protagonista della lunga lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna ma per troppo tempo rimasto un affare dinastico in un Paese in grande movimento. Un momento della verità per la potente Sonia e per tutta l’India.
Danilo Taino


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