Gli alfaniani: così il Cavaliere fa il gioco dei Cinquestelle

by Sergio Segio | 9 Dicembre 2013 7:50

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E noi ci batteremo per questo». Nell’ordine, allora: «Stop a due Camere che vengono pagate il doppio per fare lo stesso lavoro; legge elettorale sul sindaco d’Italia: i cittadini scelgano i parlamentari e il capo dell’esecutivo; no allo sfascio istituzionale e all’estremismo; taglio della spesa pubblica; diminuzione delle tasse per le imprese e per i lavoratori, con i soldi del taglio della spesa pubblica».
Un’azione, da qui al 2015, che ha una premessa: «Non esistono — ragiona Fabrizio Cicchitto — due maggioranze: una che sostiene il governo e l’altra che fa la legge elettorale». Ma, per le riforme, «si parte da noi, Enrico Letta e Matteo Renzi: se poi c’è una condivisione più larga, ben venga». Altro che asse tra Berlusconi e Cinque Stelle, per un governo di scopo. La risposta di Gaetano Quagliariello, ministro della Riforme, è netta: «Queste sono le ragioni per cui non abbiamo aderito a Fi, è la conferma che abbiamo fatto bene. Ci aspettavamo che si prendesse una deriva estremista. La forza dei moderati è invece quella di coniugare radicalismo riformista con quello che serve al Paese». Quagliariello insiste: «Ormai ci sono due blocchi: la politica e l’antipolitica. Berlusconi, ma anche qualcuno nel Pd, così facendo corrono il rischio di giocare per Beppe Grillo…».
Il primo test del «patto di governo» è la legge elettorale. Ma, per arrivare alla formula del «sindaco d’Italia», occorre fare prima la riforma costituzionale, superare il bicameralismo perfetto, con una sola Camera che dà la fiducia e il Senato che potrebbe «ospitare» i rappresentanti dei territori, riduzione dei parlamentari (si parla di 480 deputati e 200 senatori). Si attendono, ora, le mosse di Renzi: «In campagna elettorale ha parlato di tre sistemi elettorali diversi: aspettiamo che si chiarisca le idee». I tempi per la riforma? Secondo Andrea Augello, senatore di Ncd, «si può fare in meno di un anno: 8-9 mesi, dedicandoci buona parte del 2014». Che altro? «Almeno l’inizio della riforma della giustizia. Utilizzare il semestre italiano di presidenza europea per inserire regole più stringenti sul controllo dell’immigrazione».
E il famoso «governo di scopo» berlusconiano? «C’è chi, pur di far saltare l’esecutivo Letta-Alfano, ipotizza un’alleanza Pd-M5S-Fi: sarebbe un governo mostro… Ipotesi impraticabile e comunque irresponsabile», dice Cicchitto. Inoltre, secondo gli alfaniani, «è il Cavaliere che fa dietrofront e cerca di rientrare in partita». La competizione, ora, si sposta all’interno del centrodestra: «Il tappo ormai è saltato. Per anni, nel Pdl, c’è stato un uomo solo al comando, uno che parla, che decide. E, intorno a lui, un gruppo dirigente guidato da Denis Verdini secondo cui gli altri non contavano niente, non portavano un voto, non facevano niente. Ora non è più così». E l’appuntamento di sabato, secondo gli alfaniani, testimonia proprio il processo in corso: diecimila presenti, più della metà da fuori la Capitale, tantissimi amministratori locali, consiglieri regionali, comunali, municipali. Tutta gente che, sul territorio, ha il «suo» bagaglio di voti e di consenso: «Noi — ripetono gli uomini di Alfano — non siamo come Fli o l’Udc». Manca ancora una sede, ma non per molto. Un palazzo, infatti, sarebbe stato individuato: «È in centro, tra Camera, Senato e Palazzo Chigi». Altri dettagli non trapelano: «Altrimenti ci alzano l’affitto». Ma già oggi potrebbe arrivare la stipula del contratto.
Ernesto Menicucci

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