by Sergio Segio | 8 Dicembre 2013 9:02
NEW YORK — La coincidenza è quasi irreale: la morte di Nelson Mandela avviene proprio durante il lancio del film Mandela
di Justin Chadwick. Bono e U2 hanno scritto la colonna sonora del film, Ordinary Love canzone ispirata, ci racconta Bono a New York, alla storia d’amore fra Mandela e sua moglie Winnie. «Voglio dire subito la cosa più ovvia – esordisce – e cioè che siamo a disagio nel parlare di una canzone e di un film quando la ragione per cui sono nate quella canzone e quel film ci ha appena abbandonato ». Accanto a lui, gli altri membri degli U2: «Però dobbiamo parlarne: vogliamo che un’altra generazione capisca chi è stato Nelson Mandela », conclude.
Come è iniziato il vostro rapporto?
«Eravamo adolescenti quando abbiamo fatto il nostro primo concerto anti-Apartheid a Dublino. C’è un ovvio legame fra noi e Mandela: noi irlandesi siamo particolarmente sensibili all’oppressione, la lotta rivoluzionaria fa parte del nostro Dna».
Come avete pensato alla canzone per il film?
«Le prime idee che avevamo avuto erano di tipo politico: ma in realtà quello che ci ha colpito è stata la storia d’amore fra Nelson e Winnie. Il rapporto fra Mandela e la sua famiglia è stato centrale nelle decisioni che ha preso nella lotta contro l’Apartheid: così abbiamo voluto fare una canzone umana».
Avete avuto modo di parlare con Mandela del film?
«No. L’ultima volta che l’ho visto è stato 18 mesi fa, siamo andati a trovarlo con i miei due figli e abbiamo passato dei momenti meravigliosi insieme. La profondità della sua mente e le sue idee erano nascoste dietro il suo senso dell’umorismo, ti prendeva sempre alla sprovvista. Tutto il mondo voleva vederlo e lui diceva: perchè venite a incontrare un vecchio rivoluzionario come me?».
Quale lezioni ha imparato da lui sul lavoro umanitario?
«Non amo la parola beneficenza ma è importante usarla in questo caso. Una delle lezioni che ho imparato viene da un discorso nel 2005: disse che superare la povertà non è un compito della beneficenza ma un atto di giustizia. Come l’Apartheid, come la schiavitù, la povertà non è naturale, è creata dall’uomo e può essere superata dalle azioni di esseri umani ».
Ricorda la sua prima apparizione pubblica con Mandela?
«È stato a un concerto a Barcellona: eravamo in uno stadio enorme, c’era posto per 20mila persone e l’evento aveva il ridicolo titolo
Frock and rock, una combinazione di moda e musica per una raccolta fondi in favore della Fondazione Mandela. Alla fine però non si capiva se Mandela sarebbe venuto o meno, così tutte le altre band si erano ritirate: eravamo rimasti solo noi a suonare. Il risultato è stato che non c’era nemmeno molto pubblico, forse 3000 persone: quando abbiamo capito che sarebbe venuto davvero eravamo terrorizzati che ci rimanesse male. Allora abbiamo aspettato un’ora, ma poi dovevamo davvero cominciare: qualcuno ha avuto l’idea di spegnere tutte le luci nello stadio per non far vedere che era mezzo vuoto, e io e Naomi siamo saliti sul palco con lui, sperando che non si accorgesse del vuoto. Lui ha guardato fisso davanti a sé e ha detto: “La cosa peggiore è avere aspettative alte, perchè sarai sempre deluso”. Ero imbarazzatissimo, ma lui ha proseguito: “Sono venuto qui con alte aspettative e avete superato ogni mia aspettativa! Siete venuti in 3000 a vedermi, non merito tanta attenzione!”. L’ho guardato e ho capito che non stava scherzando, era serio. È stata una lezione su come vedere il mondo».
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