«Vedo le crepe nel mito Non fermò la corruzione»
John Carlin, autore del libro da cui è stato tratto il film «Invictus», ricorda l’ultimo incontro con Madiba, un giorno del 2009. Seduto in sala da pranzo, il suo solito grande sorriso, la gigantesca stretta di mano, le parole che però non uscivano dalle labbra di pietra, sotto uno sguardo distante. «Bene, molto bene».
L’incontro durò un’ora, e Mandela si accese soltanto una volta, infilando poche frasi con la sua voce sottile ma decisa: «Sei mai stato in prigione? La mia gente diceva che avevo paura. Dicevano che ero un codardo perché avevo deciso di parlare con i bianchi. Ma io non sono stato lì a discutere. Sapevo di avere ragione. Sapevo che questa era la via per la pace». Una cosa che gli è rimasta dentro fino alla fine, una spina su cui ha rimuginato anche quando la mente era già molto annebbiata. Mandela il codardo, Mandela venduto ai bianchi.
La storia gli ha dato ragione ma per anni, tra i compagni di prigionia e tra i leader dell’Anc in esilio, la linea Nelson si scontrò con la linea più dura impersonata dal rivale Gowan Mbeki, padre di Thabo (il successore di Mandela alla presidenza), che per i capi dell’apartheid avrebbe voluto un processo stile Norimberga.
Invece dalla prigione sull’Isola dei Conigli uscì vittorioso Madiba il pacificatore. Intorno a questa «narrativa» della riconciliazione, dice al Corriere lo scrittore Zakes Mda, si è costruito il mito Mandela. «Siete stati voi all’estero a farne un santo della pace, un nuovo Mahatma Gandhi». Ogni mito ha le sue crepe: anche Gandhi, negli anni in cui visse in Sudafrica, protestò con i bianchi perché gli indiani erano discriminati, salvo lamentarsi perché venivano abbassati al livello dei kaffir «negri».
Per Mandela è vero, «sarà ricordato come l’uomo della riconciliazione» dice Mda, forse il maggiore degli scrittori neri sudafricani (Si può morire in tanti modi , La Madonna di Excelsior ). Anche se «la riconciliazione non si è ancora pienamente realizzata in Sudafrica. Comunque sia, il suo merito più grande per me è stato un altro: la Costituzione. È la sua eredità più significativa. E il merito è di squadra: senza il collettivo dell’African National Congress che lavorò con lui, forse una Carta così avanzata non si sarebbe realizzata. Mandela non sarebbe andato contro il partito». Diritti umani, abolizione della pena di morte, libertà di scelta, e quell’uguaglianza di genere «su cui molti Paesi occidentali stanno ancora dibattendo».
Zakes Mda non è tenero con Madiba. Se è stato santificato in vita, forse può essere umanizzato da morto. «Tutti i suoi sforzi sulla via della riconciliazione hanno riguardato le divisioni tra bianchi e neri. Le divisioni tra neri sono continuate».
Madiba ha chiuso gli occhi sulle ruberie dei compagni: «La corruzione in cui oggi annaspiamo è cominciata durante la sua presidenza. Lui personalmente non fu coinvolto. Però sapeva e non fece niente per sanare la piaga. Chiesi di incontrarlo una volta, gli parlai della corruzione ma lui rimase freddo. Perché era fedele al partito, leale con i compagni. Per lui erano tutte persone integre. Il risultato: mentre lui era presidente la corruzione ha messo radici. E quando mette radici sappiamo quanto è difficile da estirpare».
Madiba e quell’accusa di essere «un codardo», affiorata anche negli ultimi momenti di lucidità: «C’è una minoranza di neri che effettivamente lo accusa di aver venduto la giustizia sull’altare della riconciliazione».
Anche Winnie, l’ex moglie di Mandela, più di una volta ha fatto considerazioni simili. «I bianchi invece sono diventati addirittura nostalgici di Mandela — dice Mda — perché lo paragonano alla leadership di oggi». Ed è vero che «il problema della povertà in cui versava e versa la maggioranza dei sudafricani è stato in gran parte negletto anche sotto il governo del primo presidente nero. Il sistema di black empowerment introdotto nel sistema economico ha avvantaggiato le élite all’interno dell’Anc. E questa è un’altra delle innegabili debolezze del santo Mandela».
Michele Farina
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