Un Cavaliere di «lotta» si allea con i 5 Stelle per attaccare il sistema
E cerca di trasformare la sua decadenza da senatore per via delle condanne giudiziarie in un’opportunità. Di certo a primavera si svolgeranno le elezioni europee. Ma «sono possibili elezioni politiche nei prossimi mesi», ha avvertito ieri, invitando il partito all’unità dopo il trauma della scissione del gruppo del vicepremier Angelino Alfano. D’altronde, solo additando la prospettiva di urne ravvicinate può diminuire il rischio che prevalgano spinte centrifughe.
Non essendo candidabile, lascia che emergano le ambizioni di quanti vorrebbero correre per Palazzo Chigi al suo posto, sebbene sembri intenzionato a cambiare gran parte della nomenklatura che gli è rimasta fedele. Il profilo che Fi sta esprimendo, tuttavia, conferma i timori di quanti intravedono una deriva estremista: il tentativo di fare concorrenza al Movimento 5 Stelle ma anche al Carroccio, come calamita di tutti i malumori contro il rispetto dei vincoli finanziari europei, l’euro, e la maggioranza delle «larghe intese» che pure Berlusconi aveva promosso e sostenuto con senso di responsabilità. Così, mentre oggi il Nuovo centrodestra di Alfano si riunisce, le distanze non potrebbero apparire maggiori.
Tanto è filogovernativo il gruppo che si è staccato dal Pdl, quanto accentuerà gli attacchi a Palazzo Chigi e al sistema il movimento berlusconiano. È una linea di resistenza e di sopravvivenza, più che di proposta. E sconta l’irritazione del Cavaliere per il modo in cui la sinistra ha deciso la sua decadenza. Ma nel modo in cui reagisce si avverte una recriminazione che investe il Quirinale e in generale le alte cariche dello Stato. Berlusconi denuncia per l’ennesima volta l’esistenza di un intreccio «tra logiche politiche della sinistra e sistemi giudiziari. E a questo disegno, dispiace dirlo, non sono estranei i più alti organi di garanzia delle nostre istituzioni».
Si tratta di accuse non nuove, che però vengono rilanciate dall’opposizione e come parole d’ordine elettorali. Si saldano all’offensiva grillina contro un Parlamento definito «illegittimo» in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale sul cosiddetto «Porcellum». È chiaro che l’ex premier non smette di confidare in un qualche strappo tra Matteo Renzi, probabile segretario del Pd da domani, e il governo di Enrico Letta. Si accreditano manovre per trovare accordi sulla riforma elettorale tra Fi e Grillo in nome di un bipolarismo al quale Renzi non è insensibile. Anche ieri il sindaco di Firenze non ha rinunciato a punzecchiare Palazzo Chigi. Gli dà atto di essersi mosso bene a livello internazionale. Ma lo accusa di avere rinviato in Italia «cose che vanno fatte subito».
Ipotizzare una rottura, però, rimane un azzardo. I numeri dell’economia, confermati ieri nel Rapporto del Censis di Giuseppe De Rita, parlano di un’Italia impoverita. E uno degli avversari di Renzi alla segreteria, Gianni Cuperlo si chiede: «Che immagine diamo se ci mettiamo a disquisire della tenuta del governo con questi dati sulla povertà?». A pesare sull’atteggiamento della nuova leadership del Pd verso il governo sarà soprattutto il numero dei votanti: il partito teme un flop. Il fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, ieri ha dato una mano a Renzi annunciando a sorpresa che parteciperà alle primarie. Significa che forse non è così distaccato dalla politica come si pensava.
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