La contesa di famiglia per l’eredità
Sgorgherà oro dalla terra in cui sarà sepolto Nelson Mandela. E le sue mani, quelle mani che hanno contribuito a costruire un’Africa migliore, continueranno a dispensare prosperità e ricchezza. Anche sotto forma di prosaici dividendi e fertili copyright. Se l’eredità spirituale dell’«Invincibile» è patrimonio dell’umanità, quella materiale è oggetto di una partita che opporrà, non appena la decenza lo consente, tre figlie, diciassette nipoti e quattordici pronipoti. Almeno tre clan si fronteggiano per accaparrarsi i profitti generati dall’ultimo mito del Novecento. E lui non poteva non saperlo. Non può non aver compreso, negli ultimi anni di vita, di essere riuscito a trasmettere più facilmente le sue idee al mondo che i suoi valori (morali) ai suoi diretti discendenti. Del resto aveva lasciato i suoi figli bambini, entrando in carcere 50 anni fa, e li aveva ritrovati adulti, quando era tornato libero, nel 1990. Tranne il maggiore, Thembi, che era morto a 24 anni in un incidente d’auto, nel 1969, mentre il padre era rinchiuso a Robben Island, l’Alcatraz sudafricana.
Scomparso nel 2005 anche l’ultimo figlio maschio, Makgatho, ucciso dall’Aids a 55 anni, è un gineceo a controllare, o cercare di controllare, il «marchio» Mandela: Makaziwe, detta Maki, 59 anni, l’ultimogenita (e unica superstite) del matrimonio con Evelyn Ntoko Mase, da cui Nelson Mandela divorziò nel 1957, e le due sorelle Zenani, 54 anni, e Zindzi, 53, nate dalle nozze con Winnie Madikizela, pochi anni prima dell’arresto del leader dell’African National Congress. Winnie, la seconda moglie da cui Mandela si separò burrascosamente poco dopo aver ritrovato la libertà, è sospettata di manovre dietro le quinte, anche se ieri è apparsa distrutta a Vivian Reddy, una delle amiche che sono riuscite a raggiungerla al telefono. Mentre la terza e ultima moglie, Graça Machel, già vedova di Samora, il primo presidente del Mozambico dopo l’indipendenza, e famosa per il suo impegno in difesa dei bambini soldato, si è mantenuta saldamente al capezzale del marito e, altrettanto fermamente, al di fuori delle beghe ereditarie.
Le prove generali erano state ad aprile, quando l’ora dell’Old Man, il patriarca, pareva ormai arrivata. La sua falsa partenza da questo mondo aveva dato il via alla battaglia che ora si profila dietro il suo feretro. Quando le condizioni di salute del grande vecchio sono peggiorate, Mandla, il nipote quarantenne e primo discendente maschio in linea diretta, ha fatto trasferire nottetempo le spoglie dei tre zii (i primi tre figli di Mandela) dal villaggio di Qunu, dove lo stesso Mandela ha trascorso la sua infanzia e chiesto espressamente di essere sepolto, a Mvezo, il paese natale. Qui il lungimirante Mandla, capo della comunità xhosa, aveva da tempo avviato un progetto per la realizzazione di alberghi, resort e infrastrutture di contorno al grande «centro della memoria» che avrebbe dovuto attrarre pellegrini e turisti sulla tomba del primo presidente nero del Sud Africa.
Compatta, per una volta, la famiglia si è ribellata al golpe funerario. Zie e cugini si sono rivolti a un tribunale e Mandla è stato costretto a rimettere le salme a posto. Il nonno riposerà a Qunu, come voleva. Ma per giudici e avvocati c’è ancora molto da fare: Makaziwe, proprietaria della casa vinicola «House of Mandela», e Zenani, ambasciatrice in Argentina, si sono alleate per sottrarre (finora senza riuscirci) due fondi di investimento da un milione e duecentomila euro a due vecchi amici del padre, l’avvocato George Bizos e l’ex compagno di prigionia Tokyo Sexwale. Ci sarà da ripartire incarichi e responsabilità nella Fondazione Nelson Mandela e nel Nelson Mandela Children’s Fund, oltre a distribuire equamente i proventi, si parla di almeno 15 milioni, di un centinaio di società messe in piedi da figlie e nipoti per amministrare diritti d’autore e cinematografici o per promuovere linee di abbigliamento sotto il marchio di Lwtf, cioè Long Walk To Freedom, il titolo dell’autobiografia di Mandela. O 46664, il suo numero di matricola in carcere.
Elisabetta Rosaspina
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