Biden avverte la Cina «Abbassate i toni»

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Per il vecchio amico americano quella zona è illegittima e provocatoria.
Non è stato timido dunque Biden nel contestare la linea aggressiva della Cina. Lo prova il discorso che ha tenuto ieri mattina alla comunità degli imprenditori americani a Pechino. Al centro, la situazione sempre più precaria degli uffici di corrispondenza di New York Times e Bloomberg , che rischiano di dover chiudere per il mancato rinnovo del visto a due dozzine di loro giornalisti. I problemi sono cominciati l’anno scorso, quando i due gruppi editoriali americani hanno pubblicato inchieste sulla ricchezza delle famiglie dell’allora premier cinese Wen Jiabao e di Xi. «La Cina per prosperare ha bisogno di innovazione», ha detto Biden. «Ma l’innovazione viene fuori dove la gente può respirare aria libera, parlare liberamente, sfidare il pensiero ortodosso, dove i giornali possono scrivere la verità senza temere. Su questo siamo in profondo disaccordo con Pechino». Un alto funzionario della delegazione americana ha detto che Xi Jinping ha preso atto delle argomentazioni di Biden.
In pubblico, Xi ha detto che in Asia sono in corso cambiamenti profondi e complessi e «il mondo non è tranquillo». Per questo, l’unica scelta corretta per Cina e Stati Uniti è «migliorare il dialogo e la cooperazione», proseguendo sulla strada della costruzione di «un nuovo modello di relazioni tra grandi Paesi». Un ragionamento che sembra un messaggio trasversale a Giappone, Corea del Sud e Filippine, con i quali Pechino ha dispute territoriali su diverse isole del Pacifico: come dire che alla fine, per convivere con la seconda potenza del pianeta, l’America potrebbe sacrificare qualche interesse degli alleati.
E in effetti Biden non ha chiesto che Pechino cancelli la zona di identificazione aerea: evidentemente capisce che quella decisione, annunciata il 23 novembre dal ministero della Difesa cinese, è stata presa se non per ordine diretto di Xi Jinping, almeno con la sua approvazione. Perciò Biden, in questa missione che lo ha portato a Tokyo, Pechino e oggi Seul, ha cercato di aprire un canale di comunicazione che eviti il tanto temuto scontro tra aerei militari nella zona di identificazione. Di più ora non poteva ottenere.


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