by Sergio Segio | 5 Dicembre 2013 9:15
LONDRA — «Ai governi in Italia e in Europa chiedo di cercare di creare maggiori possibilità di asilo e di risistemazione per i rifugiati siriani». La regina Noor di Giordania, quarta e ultima moglie di Re Hussein (ma non madre dell’attuale sovrano, re Abdallah, che è figlio della seconda moglie), lancia questo appello in un’intervista al Corriere a margine della conferenza annuale «Trust Women» sui diritti delle donne, organizzata dalla Fondazione Thomson Reuters a Londra.
A quasi tre anni dall’inizio delle rivolte contro il regime di Damasco, i siriani fuggiti nei Paesi vicini sono oggi quasi 3 milioni, secondo l’ultima stima dell’Alto commissario Onu dei rifugiati (Unhcr): il 50% sono bambini e il 30% donne. Volker Türk, direttore per la protezione internazionale dell’Unhcr, avverte che l’Italia vedrà arrivare sempre più bambini siriani nei barconi diretti a Lampedusa. Ma sono i Paesi confinanti con la Siria a sostenere oggi gran parte del peso della crisi umanitaria: la Giordania, con 600 mila rifugiati, è la terza destinazione dopo il Libano (1 milione) e la Turchia (700 mila); e un recente sondaggio mostra che il 70-80% dei giordani sono contrari alla presenza dei profughi. «Siamo un Paese umanitario e compassionevole ma siamo stati spinti all’estremo — spiega la regina Noor —. E proprio per questo chiedo all’Europa non solo di aumentare gli aiuti umanitari ma anche gli aiuti per lo sviluppo, per sostenere i Paesi che hanno accolto i profughi per così lungo tempo e che continuano a vederli arrivare. Le infrastrutture sono state schiacciate e sono sotto pressione, nel tentativo di provvedere sia alla nostra popolazione che ai rifugiati. E se tantissimi siriani si trovano nei campi profughi come Zaatari, sono ancora di più quelli che vivono fuori dai campi e finiscono nelle comunità più povere, senza supervisione dell’Unhcr o di altre organizzazioni che possano assisterli. L’inverno sta arrivando e nella nostra regione può essere molto rigido».
La regina Noor (in arabo significa «luce»), nata a Washington 62 anni fa con il nome di Lisa Najeeb Halaby, laureata in architettura a Princeton e convertitasi all’Islam prima delle nozze, ha origini in parte siriane: il bisnonno paterno, cristiano, emigrò in America alla fine dell’Ottocento, secondo una ricostruzione della tv americana Pbs . Perciò, la crisi siriana per lei è «una questione personale ma, se non avessi sangue siriano, non sono certa che non sarebbe altrettanto personale, perché la nostra regione vive di intrecci profondi e, nonostante le divisioni create durante il colonialismo, i legami sono rimasti forti, generazione dopo generazione. Perciò la situazione in Siria è personale per tutti noi. Avendo trascorso del tempo ad Aleppo e a Damasco, poi, e avendone ammirato la ricchezza storica e culturale e la convivenza di diverse identità religiose, etniche e geografiche, è particolarmente doloroso ora vedere le spaccature create dal conflitto».
La regina non prende posizione sul ruolo che il presidente Assad avrà nel futuro della Siria mentre, in attesa dei negoziati di Ginevra a gennaio, i Paesi occidentali preoccupati dalla presenza jihadista sembrano assai più cauti che in passato sulla sua uscita di scena (su cui insistono invece i ribelli). Sottolinea però che «l’unica soluzione sostenibile è quella diplomatica: sedersi faccia a faccia per trovare un compromesso. Sì, lo so che sembra idealistico, ma è l’unica soluzione. E le donne dovrebbero essere incluse nei negoziati e messe al centro di questa riconciliazione». In Medio Oriente «le donne hanno visto progressi nell’istruzione e nei servizi sociali — spiega — ma non a sufficienza in campo economico e politico. Ovviamente le situazioni di conflitto le portano a fare passi indietro». La regina condivide l’opinione di diverse partecipanti alla conferenza che la colpa della misoginia nel mondo arabo non sia degli islamici, ma dell’intera società e degli stessi progressisti. «La colpa non è dell’Islam: l’Islam ha liberato le donne dalla misoginia pre-islamica. Oggi credo che uno dei modi migliori per fare progressi sia di dimostrare agli uomini che la famiglia e la società intera traggono beneficio dal coinvolgimento delle donne a ogni livello».
Viviana Mazza
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