Il centrodestra e l’Europa tra stabilità e populismo
In effetti, Forza Italia è tentata da una radicalizzazione estrema di segno populista — peraltro insita nel suo Dna — per diventare un partito di opposizione e di lotta. E ha preso dunque a fustigare il governo, a criticare il Presidente della Repubblica, a denunciare il sistema politico nel suo insieme, stigmatizzando i poteri forti e attaccando l’Europa, oltre a vilipendere la magistratura e ad agitare lo spettro del comunismo facendo appello al popolo. In tal modo tenta di ricomporre una sua identità, di chiamare a raccolta i fedelissimi per difendere il Cavaliere “fino alla morte” e di riconquistare gli elettori del centrodestra che nel febbraio scorso hanno votato per il Movimento 5 Stelle. Ma una strategia del genere non è priva di rischi: da un lato quello dell’impotenza politica a lungo termine, dall’altro l’apertura di uno spazio al centro.
È in questo spazio che si introduce il Nuovo Centro Destra. La sua ambizione: raccogliere la massa dei moderati, che come ha dimostrato lo storico Giovanni Orsina nel suo suggestivo libro (Il berlusconismo nella storia d’Italia) ha costituito un’altra componente del seguito di Berlusconi, peraltro con radici assai lontane nella storia di questo Paese. Di conseguenza, gli amici di Alfano si sforzano di dotarsi di una cultura politica e di elaborare un programma attraente, con l’intenzione di voltare pagina nella storia del centrodestra, creando una formazione non dissimile da quelle esistenti in altri Paesi europei. Ma i loro margini di manovra sono stretti. Nei confronti del suo elettorato di riferimento, l’Ncd non può non esprimere un minimo di solidarietà con Silvio Berlusconi, pur distinguendosi da lui e soprattutto dai suoi “falchi”, senza però escludere la possibilità di un accordo elettorale in caso di future elezioni, in funzione delle modalità di voto che saranno in vigore. Si tratta di vedere quale di queste due formazioni — senza parlare della Lega Nord e dei vari discendenti di Alleanza Nazionale — riuscirà a captare l’eredità del berlusconismo.
Si tratta evidentemente di una situazione tutta italiana, data l’innegabile specificità del fenomeno Silvio Berlusconi. Eppure questo smembramento della destra, divisa tra radicalismo e moderazione, si ritrova in maniera molto simile, benché non identica, anche in altri Paesi — come ad esempio in Francia. Nel 2002 Jacques Chirac aveva fatto confluire i tre grandi filoni storici della destra francese — autoritaria, moderata e tradizionalista — in un solo partito, l’Ump. L’operazione aveva funzionato, e Nicolas Sarkozy, dal 2004 alla testa del partito, nel 2007 conquistò il potere. Ma la sua campagna per le presidenziali del 2012, con una forte connotazione di destra, soprattutto sui temi dell’immigrazione, della difesa dell’identità francese e della denuncia dei “corpi intermedi” (con l’obiettivo di togliere voti alla candidata dell’estrema destra Marine Le Pen), e quindi la sua sconfitta ad opera di François Hollande e il suo ritiro dalla politica (sia esso temporaneo o definitivo) hanno allontanato la componente centrista dell’elettorato dell’Ump. Ora è in atto un tentativo di ricostituire un’alleanza con gli schieramenti amici che avevano mantenuto una loro autonomia. L’Alternativa — questo il nome della coalizione tra l’Unione dei Democratici Indipendenti (Udi) di Jean-Louis Borloo e il Movimento Democratico (MoDem) di François Bayrou — rifiuta qualunque anche minima concessione politica e ideologica al Fronte nazionale, attualmente in piena avanzata. Se l’Alternativa si colloca deliberatamente al centrodestra, l’Ump tentenna tra uno slittamento a destra (anche se meno netto di quello di Forza Italia) e il ritorno a una posizione di centro.
Da decenni si parla, con ragione, della crisi della sinistra europea, priva di un progetto, di un’identità, di una strategia e talora anche di un leader. Ora però anche la destra mostra chiari segni di fragilità; e non è neppure in sintonia con le attese degli europei, che soffrono per la recessione economica (anche se si intravedono lievi segnali di ripresa) provocata dalle politiche di austerità, dalla disoccupazione e dalle crescenti disuguaglianze. Se da un lato gli europei sono sempre più consapevoli di appartenere a un’unica compagine, dall’altro fanno sempre più fatica a comprendere le prospettive concrete che l’Europa è in grado di offrire, e lamentano la sua scarsa trasparenza democratica; e c’è chi è tentato da un ripiegamento nazionalista, ma anche regionalista o localista. Il senso del declino ha ormai contagiato molti cittadini europei, mediamente sempre più anziani e quindi riluttanti al rischio, e a volte anche spaventati dalla globalizzazione.
Dopo la sinistra, ora è la destra ad essere destabilizzata da queste trasformazioni. E non sa se cedere ai richiami delle sirene provenienti sia dai movimenti populisti che dal suo interno, o respingerli invece con decisione. A questo riguardo, le elezioni europee del maggio 2014 costituiranno una prova temibile sia per la sinistra che per la destra. Che quindi deve compiere urgentemente le sue scelte, e soprattutto esplicitare chiaramente agli elettori il proprio disegno: nell’interesse non solo della destra, ma anche, più generalmente, delle nostre democrazie europee.
Traduzione di Elisabetta Horvat
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